La Fed ha tagliato i tassi di un quarto di punto, portandoli dall'intervallo 2,25-2,5% al 2-2,25 per cento. Si tratta di una mossa ampiamente attesa dai mercati che, alla fine, potrebbe aver scontentato tutti. In primis, il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, che martedì aveva chiesto alla banca centrale un «taglio consistente», auspicando implicitamente una diminuzione di mezzo punto del saggio di sconto. Anche Wall Street non ha interpretato bene la mossa e, dopo un'apertura sostanzialmente fiacca, ha imboccato un sentiero declinante, perdendo l'1,3% circa a poco più di un'ora dalla chiusura per poi recuperare leggermente al -0,8 per cento. E anche il dollaro non ne ha sostanzialmente beneficiato, perché l'euro si è ulteriormente indebolito contro il biglietto verde perdendo repentinamente quota 1,11 per scendere a 1,1089. Il T-bond a 10 anni ha invece rispettato il cliché e si è rafforzato dello 0,4 per cento.
Il presidente della Fed, Jerome Powell, ha scelto così la strada della prudenza, anche per non dare l'impressione che la sua autonomia potesse essere in qualche modo limitata dalla Casa Bianca. Non vi è alcuna considerazione «politica» dietro al taglio dei tassi deciso dalla Fed, ha spiegato Powell in conferenza stampa, aggiungendo che l'outlook dell'economia Usa «resta favorevole» e che «le imprese non hanno segnalato il livello elevato dei tassi come un ostacolo» alla crescita.
Quello deciso «non è l'inizio di una lunga serie di tagli» ma rappresenta «un aggiustamento di metà ciclo economico», ha chiosato il presidente della Fed, specificando che «non ne faremo uno solo» e «useremo tutti i nostri strumenti aggressivamente quando sarà il momento». Insomma, la mossa è stata attuata per «proteggere l'economia americana da rischi al ribasso dati da una crescita mondiale debole e dall'incertezza data dalla politica commerciale» aggiungendo che si tratta anche di una mossa per contenere «le persistenti pressioni deflative globali» che potrebbero rallentare il ritorno dell'inflazione al target del 2% annuo.
Non è un caso che alcuni analisti abbiano bollato la decisione come un tentativo per tenere i piedi in due scarpe. Da una parte si è mantenuto più o meno compatto l'organo di autogoverno dell'istituzione che ha votato il taglio con una maggioranza di 8 a 2. Ad avere votato contro perché volevano che i tassi fossero lasciati invariati sono stati Esther George (Fed Kansas City) e Eric Rosengren (Fed di Boston). Dall'altro lato, il «continuo monitoraggio» del quadro macroeconomico è indicativo della volontà di sparare altre cartucce.
Non è un caso che la Fed abbia deciso di mettere fine al programma di riduzione del bilancio in anticipo rispetto ai tempi previsti. Insomma, è pronto un nuovo ed eventuale quantitative easing. Una strategia prudente, come quella di Mario Draghi che, però, a Trump è più simpatico.
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