di Pier Luigi del Viscovo*
La vicenda della Fiat e dei 38 operai (19 da assumere e 19 da espellere) è piccola in sé, riguarda un gruppetto di persone e una sola azienda. Nessuno è amico o nemico dei 19 «in» o dei 19 «out», le cui vicende umane e familiari meritano rispetto e comprensione. Allora, perché tutti se ne occupano? Perché non c'entrano né la Fiat né i 38: qui le questioni si chiamano «giustizia civile», «cultura economica» e «rappresentanza sindacale».
Se un giudice sentenzia che 19 operai sono stati «discriminati» in negativo, dice implicitamente che altri 19 lo sono stati in positivo: non sarebbero stati assunti senza la «discriminazione» che li ha favoriti ostacolando i primi. Ossia, la prova della discriminazione deve stare nell'alterazione della graduatoria di merito: senza discriminazione, i 19 della Fiom sarebbero stati assunti al posto di altri (a saldi invariati, direbbe un ministro). Il giudice dovrebbe dire di quest'analisi, se l'avesse fatta, come avrebbe deciso, sennò? Ma forse la legge non gli chiede tanto, di dirimere una questione senza aprirne un'altra. Ecco perché non è il «giudice» in questione, ma la «giustizia civile». Cultura economica significa confrontarsi con risorse scarse, o categorie finite. C'è un detto: faccio già tre pasti al giorno, non posso farne un quarto. Un'azienda deve stabilire il suo fabbisogno di manodopera, per responsabilità di equilibrio verso gli azionisti e verso tutti i lavoratori. E questa è una categoria finita, non infinita. La cultura economica dominante in Italia ritiene, invece, che ci siano categorie infinite, pozzi senza fondo cui si può attingere all'infinito. La quantità di lavoratori che un'impresa può sopportare è ritenuta slegata dalle regole economiche. Quando alla fine non ci sono i soldi per pagarli, che intervengano i soldi dei contribuenti. Tanto quelli sono infiniti per definizione: basta aumentare le tasse. Ora si eliminano alcune Province: chi ci lavora va a casa? Certo che no. Se chiude un ristorante? Sì, quelli vanno a casa.
Un sindacato deve rappresentare gli interessi dei lavoratori, è giusto, ma dentro un sistema di regole e di responsabilità. Come si fa a promuovere la rottura, a votare per la chiusura di un impianto e la perdita del lavoro per tutti, e poi pretendere di entrare in quel sistema inaccettabile, cavalcando la propria sconfitta? Sono stato a Pomigliano, girando tra le linee e mangiando in mensa. Ho incontrato operai bravissimi e impegnati allo spasimo a far funzionare l'esperimento di produrre in Italia auto competitive, nella qualità e nei costi. È legittimo volerne far parte, anche a spese di 19 operai. Ma non per contrastare chi ce la sta mettendo tutta. «Chi dice che è impossibile, non dovrebbe disturbare chi ce la sta facendo» (Albert Einstein).
In questa vicenda - ammettiamolo - i 38 lavoratori, la Fiat, Marchionne e gli Agnelli stanno sullo sfondo. Al centro della scena c'è il nostro Paese e la nostra cultura economico-sociale. Al centro ci siamo noi, non loro.
*Luiss Guido Carli
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