Il lusso prova a dribblare i «Brics»

Le case di moda riscoprono Europa e Stati Uniti per attutire la frenata in Russia, Cina e Brasile

Il lusso prova a dribblare i «Brics»

Il tramonto dei Brics penalizza il lusso tricolore e riporta in auge i mercati finora considerati old fashion , maturi, almeno fin tanto che non saranno individuate le nuove terre promesse per l'alto di gamma italiano . È quanto emerge dal Luxury&Finance 2014, l'incontro-passerella organizzato da Borsa Italiana per il made in Italy .

In pochi mesi tutte le destinazioni sinonimo di successo sono diventate dei rebus nei bilanci delle stelle del fashion italiano. Le società sono state affondate dai venti di guerra in Russia (che hanno ridotto i flussi turistici e portato misure restrittive sui beni occidentali in risposta alle sanzioni internazionali), dalle rivolte degli studenti a Hong Kong, dalle leggi anti-corruzione in Cina che hanno frenato la rincorsa allo shopping della nascente classe media e dal rallentamento della crescita del Pil (e quindi della capacità di acquisto) del Brasile, Paese che già impone dazi estremamente elevati.

Di soluzioni prêt-à-porter al momento non se ne vedono, le società preferiscono «relativizzare» il rischio e tornare a concentrarsi sui mercati tradizionali. Ma Piazza Affari ha già dato il suo responso: da inizio anno i titoli del lusso sono crollati contestualmente alla trasformazione dei Brics da terre promesse in punti interrogativi.

A parlare chiaro sono pochi, tra cui Marco Palmieri, alla guida di Piquadro, che spiega al Giornale di aver ridotto gli investimenti in Cina posto che il Paese, almeno nella sua esperienza, rende relativamente poco, anche a causa delle leggi anticorruzione e dei prezzi stellari al metro quadro raggiunti in città come Hong Kong che rendono difficoltoso il ritorno sugli investimenti. Sulla stessa linea Andrea Tessitore, ad di Italia Independent, che ammette di voler lasciare la conquista della Cina per ultima, posto che «nel Paese si contano più i morti che non quelli che ce l'hanno fatta». I più, invece, reagiscono facendo buon viso a cattivo gioco, diminuendo il peso e l'importanza di Paesi un tempo considerati l'Eldorado dell'intero settore e sperando in un miglioramento del contesto.

«Non abbiamo risentito di quanto avviene in Russia, anche perché i russi benestanti continuano a viaggiare e ad acquistare all'estero», sostiene il re del cashmere Brunello Cucinelli che, forte della sua fiducia nell'Italia e della presa sui mercati occidentali (il gruppo genera il 33% del fatturato negli Stati Uniti, il 33% in Europa, il 18% in Italia, il 5% in Cina e il 10% circa nel resto del mondo), continuerà a crescere a ritmi superiori al 10% sia a livello di fatturato che di ebitda per almeno i prossimi due esercizi. Ugualmente Emilio Macellari, cfo di Tod's, si dice fiducioso nel raggiungimento dei target di consensus sul 2014 (e di un miglioramento del fatturato 2015 entro il 9%) e dichiara di non vedere «cattive notizie in termini di aspettative per il 2015», nonostante il peso sul fatturato del gruppo della Cina: la Greater China all'incirca rappresenta un quarto delle vendite, mentre è marginale il peso di Russia e Brasile. Marcello Tassinari, general manager di Aeffe, preferisce infine concentrarsi sul potenziale inespresso del gruppo in Europa, Usa e Giappone. «La Russia vale l'8% sul nostro fatturato. La crisi attuale, per la tempistica delle collezioni, ha solo sfiorato Aeffe, mentre potrebbe avere un impatto maggiore nel 2015.

Ritengo, in ogni caso, che gli altri mercati, Cina compresa, possano adeguatamente compensare il calo», dichiara il top manager. Il gruppo nel prossimo futuro punterà comunque «sui mercati maturi grazie alla ristrutturazione e al rinnovo del brand».

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