Mediaset sale in Borsa del 6%, a 2,9 euro, rimbalzando dai minimi dove è stata schiacciata, dopo che da inizio anno ha perso il 21% contro il 9% del settore media. E in una giornata come quella di ieri, con il mercato crollato del 3%, il balzo dei titoli del Biscione è stato ancora più evidente.
Pronte le spiegazioni degli analisti: all'indomani dei conti dei primi nove mesi, diffusi martedì, nonostante le perdite più alte dell'anno scorso, al mercato è piaciuta la determinazione con cui il gruppo presieduto da Fedele Confalonieri sta tagliando i costi (38 milioni di sforbiciata nel terzo trimestre) e l'idea che novembre potrebbe essere il primo mese dell'anno con una ripresa della raccolta pubblicitaria. Bene anche il fatto che Mediaset da settembre non abbia perso quote di mercato, a differenza della Rai. Per questo alcune banche d'affari, come Equita, hanno messo le azioni Mediaset nella lista dei «buy», mentre il prezzo obiettivo resta tra i 3 e i 3,50 euro per la maggior parte degli analisti. Ma basta tutto questo per spiegare un balzo del 6% in un giorno, pari a 180 milioni di capitalizzazione in più?
Sotto l'aspetto strettamente finanziario forse sì. Ma c'è anche altro: Mediaset, in questa fine 2014, da un lato è alla vigilia di fondamentali scelte industriali e strategiche; dall'altro risente in maniera peculiare delle vicende politiche italiane che riguardano in prima persona Silvio Berlusconi, il suo primo azionista, tramite Fininvest, con una quota del 41%. Non è un caso che mentre Berlusconi, da leader di Forza Italia tratta con il premier Matteo Renzi sulla legge elettorale, sul Sole 24 Ore di ieri il professor Roberto D'Alimonte scrive che, dopo anni di conflitti d'interessi, oggi «quelli del Berlusconi imprenditore coincidono con quelli del Paese», nel percorso delle riforme. È così perché «in questo momento la Mediaset di Berlusconi è come la Fiat di una volta: non può non essere governativa». Non certo per gli stessi motivi sindacali e industriali degli anni Settanta, ma perché il business di Mediaset è, oggi più che mai, legato ai rischi della futura regolamentazione del settore televisivo e delle tlc. Un comparto che sta attraversando una rivoluzione epocale, appena iniziata, fatta di convergenza fisso-mobile-web-tivù tutta da disegnare. Ci sta, dunque, che i mercati abbiano colto anche questo aspetto, di pacificazione politica «necessaria», che toglierebbe definitivamente dalla testa del Biscione la spada di Damocle delle sempre possibili sorprese politico-regolatorie.
E non è nemmeno un altro caso che per Mediaset sia ormai questione di ore l'annuncio della costituzione della nuova società - con relativo cda, management e strutture operativa e finanziaria -, già partecipata da Telefonica con il 11%, dove viene conferita la pay tv del gruppo, Mediaset Premium. Quella, per intenderci, che ha già in tasca i diritti per la prossima Champions League e la Serie A fino al 2018. Per entrare nella newco sono già in corso contatti con diversi operatori internazionali.
Ma è sempre meno un tabù l'idea che il partner possa diventare Telecom Italia. Obiettivo: un unico «soggetto» per erogare servizi di tlc fissa, mobile, pay tv, internet, wifi, per l'emissione di una sola e comoda bolletta. A qualche milione di clienti.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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