Mucchetti: "Ora Marchionne dimostri di saper fare le automobili"

Mucchetti (Pd): "Bene Fiat-Chrysler, ma il ruolo del Lingotto in Italia è in declino"

Mucchetti: "Ora Marchionne dimostri di saper fare le automobili"

«Ultimata l'acquisizione di Chrysler, dopo la firma dell'accordo con il fondo Veba, si apre una fase molto delicata e complessa per Fiat, specialmente in Italia».

Quale, senatore Mucchetti?
«Sergio Marchionne, a questo punto, deve dimostrare di essere un grande industriale dell'auto».

Nel 2016, però, si dice che potrebbe lasciare...
«Se vuole diventare un grande costruttore di auto, dovrà rimanere per almeno altri dieci anni: i tempi dell'industria dell'auto non sono quelli della finanza».

Massimo Mucchetti, Pd, presidente della commissione Industria del Senato, commenta in questa intervista al Giornale l'operazione che ha portato Fiat al 100% di Chrysler, manifestando insieme al plauso per la portata dell'accordo, anche una serie di perplessità e preoccupazioni, soprattutto di aspetto finanziario. «Marchionne - aggiunge Mucchetti - si è distinto come grandissimo negoziatore e altrettanto come comunicatore. Ma ora, forse, dovrebbe cambiare passo».

Il figlio di Suni Agnelli, il suo amico Lupo Rattazzi, da queste pagine ha sottolineato il suo atteggiamento sempre critico nei confronti dell'ad di Fiat...
«Lupo, del quale ricambio l'amicizia, sostiene che io non parli bene di Marchionne per ragioni ideologiche. In realtà, di Marchionne ho sempre parlato bene come creatore di ricchezza per gli azionisti, mentre da qualche anno esprimo preoccupazioni per il declinante ruolo di Fiat nel settore dell'auto in Italia, che rischia di ridursi ai minimi termini con grave danno per l'intera industria meccanica».

Mettiamo che Marchionne si presenti domani per un'audizione davanti alla Commissione che lei presiede in Senato. Quale domanda gli porrebbe?
«Come pensa di migliorare la situazione finanziaria di Fiat-Chrysler, che oggi paga interessi molto pesanti che assorbono gran parte del margine industriale. Una solida struttura finanziaria è la conditio sine qua non per una reale politica d'investimenti, in particolare in Italia».

E l'ipotesi del convertendo?
«Si dice che Marchionne pensi a un convertendo. Se davvero sarà così vuol dire che non avevo torto a indicare la necessità di un aumento di capitale. La cifra di 1,5 miliardi è forse poco. L'ultima parte dell'acquisizione di Chrysler assorbe circa 4,2 miliardi di dollari».

Per buona parte pagata dalla stessa Chrysler, però.
«Quando Fiat è al 100% di Chrysler queste distinzioni perdono di significato».

Il nodo più importante da sciogliere?
«Mettere in grado il gruppo Fiat-Chrysler di investire in misura adeguata alla concorrenza. Temo sia difficile con una Chrysler che ha un patrimonio netto negativo di 7,5 miliardi di dollari, dato del 2012 che oggi sarà probabilmente di più, a causa degli ingenti e crescenti debiti verso i fondi pensione e sanitari dei dipendenti. Giuliano Ferrara, grande conoscitore della politica, dice che Marchionne fa qual che può nel quadro del flop dell'auto euro-americana. In realtà, le quattro case tedesche e la Ford hanno tutte patrimoni netti assai robusti».

La strada, quindi, non è proprio in discesa.
«L'operazione merita un plauso dai soci, ma l'industria sui tempi lunghi ha altre necessità. D'altra parte, se si fa il confronto con la Ford, industrialmente più solida, si vede che quest'ultima fa circa il doppio del fatturato di Chrysler, ma capitalizza 6 volte il valore attribuito ora alla stessa Chrysler».

Moody's minaccia il declassamento di Fiat, ma ci sono analisti che hanno espresso pareri più ottimistici.
«I debiti di Fiat e Chrysler sono già oggi junk. E dunque molto costosi. Questo è il punto: gli interessi passivi. Chrysler, la parte migliore del gruppo, ha un debito di 12 miliardi di dollari e 11 miliardi di liquidità; sommati gli interessi attivi e passivi, paga ancora un 1 miliardo. Se promettesse davvero di andare bene nel tempo, potrebbe farsi prestare il denaro al 4% e non terrebbe tutti quei liquidi che non rendono».

Come vede la Fiat guidata da John Elkann?
«Il presidente Elkann ha una grande responsabilità sulle spalle. Gli Agnelli si sono posizionati da soci di riferimento di un'azienda-Paese a soci di un'azienda-mercato. L'importante, da italiano, è che il saldo sia attivo per l'Italia. L'eventuale spostamento della sede legale in Olanda è una decisione legittima anche se non tranquillizzante.

Resterebbe comunque da vedere se si sposta all'estero anche parte della base imponibile italiana».

L'accoppiata Alfa Romeo-Maserati metterà paura ai tedeschi?
«Me lo auguro, se sull'Alfa Romeo Fiat non si ripeterà con promesse, poi non mantenute».

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