Lo spread torna a far paura Piazza Affari unica in rosso

Segnali di insofferenza da parte dei mercati che vorrebbero garanzie su programmi e ministri

Lo spread torna a far paura Piazza Affari unica in rosso

A desso la tensione comincia a essere palpabile. I quasi otto punti in più accumulati ieri, in poche ore, dallo spread tra i nostri Btp e il Bund tedesco, con una chiusura a quota 139 che è la peggiore degli ultimi tre mesi, sono la cartina di tornasole dell’insofferenza crescente dei mercati. Va così da lunedì scorso, quando il differenziale di rendimento galleggiava ancora a 124 punti, ma il consolidarsi dell’ipotesi di un governo bipolare Lega-Movimento 5 stelle sta amplificando il fenomeno in modo rapido. Inoltre, il binario dell’alto «sgradimento» è doppio, visto il nuovo impallinamento subìto da Piazza Affari (-0,96%, con una scivolata temporanea dell’indice Ftse-Mib sotto la soglia dei 24mila punti), la sola Borsa a chiudere in ribasso. Insomma, un affaire tutto italiano, senza nessun condizionamento esogeno tipo dazi, tassi americani o petrolio. La partita si gioca qui, con gli investitori seduti al tavolo con pistola carica al seguito, nonostante si sia fatto da parte Silvio Berlusconi, defenestrato nel 2011 proprio a colpi di spread (picco a quota 576, quasi un punto di non ritorno) e dalla vendita col badile da parte di Deustche Bank di miliardi di Btp. Mai contenti. Adesso, ciò che spaventa è la possibile deriva economica, potenzialmente mortifera per i conti dell’Italia, che il tandem giallo-verde potrebbe imprimere al Paese se non saranno accolte le raccomandazioni alla prudenza rivolte dal presidente Sergio Mattarella. C’è, innanzitutto, un problema di coperture da trovare, una roba che inquieta sempre i mercati. «Le questioni principali che dovranno essere affrontate da un nuovo esecutivo - confermano gli analisti di Mediobanca - sono l’approvazione del nuovo budget per evitare, tra l’altro, un aumento dell’Iva nel 2019 e la partecipazione ai summit Ue di giugno». In ogni caso, siamo tutto sommato ancora in una comfort zone ben lontana dai territori del panico, quelli delle vendite incontrollate in cui ci si sbarazza dei titoli come se fossero carta straccia. E un motivo c’è: resta infatti da capire quali uomini comporranno il nuovo esecutivo. Soprattutto nei ministeri-chiave. Perché un conto, per esempio, è mettere a capo del Tesoro il senatore leghista Alberto Bagnai, sovranista duro e puro, da anni in prima linea nella lotta contro l’euro; un altro è collocare a via XX Settembre un economista liberal-liberista come Luigi Zingales, considerato vicino ai Cinquestelle. Se gli strappi non sono al momento stati violentissimi, è però anche grazie alla protezione assicurata all’Italia dalla Bce attraverso il piano che ha messo in pancia all’Eurotower i nostri bond, abbassandone i rendimenti. Dall’ultimo Bollettino diffuso ieri da Francoforte, si ribadisce il rallentamento della crescita che rende necessario «un grado elevato di accomodamento monetario». È un tasto su cui Mario Draghi batte da almeno un mese, con enfasi crescente.

Al punto che gli analisti cominciano a convergere sull’ipotesi di un bazooka monetario non più rottamato il prossimo settembre, ma ancora pienamente in azione fino alla fine dell’anno, se non addirittura per buona parte del 2019. Per l’Italia sarebbe ossigeno puro. E forse l’unico modo per non finire, prima o poi, nella tagliola dello spread.

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