Gli aumenti pensionistici previsti per il 2023 potrebbero non vedere mai la luce o, comunque, essere di molto ridimensionati rispetto alle attese della vigilia. Perché? A causa del balzo in avanti dell'inflazione, il governo potrebbe decidere di "prelevare" una parte del denaro previsto per i cittadini per rimpinguare le casse dello Stato.
Cosa può succedere
Come rende noto l'Upb (Ufficio parlamentare di bilancio (Upb), nei prossimio tre anni è previsto un costo pari a 45,4 miliardi di euro per chi non fa più parte del mondo del lavoro: l’importo della pensione viene adeguato alla variazione dell’inflazione per evitare che si possa perdere potere d'acquisto a causa dell'aumento dei prezzi che, se da un lato è previsto fino al +5,8%, in realtà al momento ci troviamo al +7,3, quasi due punti percentuali in più causati soprattutto da guerra e caro energia. Come ricorda Liberoquotidiano, però, una parte di quella cifra (poco più di 13 miliardi) fanno già parte dei "saldi di finanza pubblica per il nuovo sistema a scaglioni. La parte eccedente, invece, no", affermano gli esperti.
Il problema inflazione
Quindi, se l'inflazione sarà maggiore del 7%, lo Stato dovrebbe sborsare 32,3 miliardi in più, non certo una sommetta. A tal proposito, come scrive Money, c’è chi pensa che il governo "possa porre un freno alla rivalutazione delle pensioni, introducendo un sistema più penalizzante per le fasce medio alte". Il pieno adeguamento (100% dell'inflazione) si avrà per gli importi il quadruplo del minimo pari a 515, 58 euro, al 90% per quelli tra 4 e 5 volte la misura più bassa e del 75% se sono superiori. Fino al 2021, invece, funzionava in base alle fasce di reddito. Il meccanismo voluto da Letta nel 2013 prevede che l'aliquota venga rivalutata su tutta la pensione, dal 100% al 45%.
"Non si può cambiare"
Se da un lato, quindi, i pensionati possono avere maggiori benefici, dall'altro si svuotano le casse dello Stato. Come fare a trovare un equilibrio? "Quest' anno c'è questa regola e non c'è più tempo per cambiarla, per cui l'anno prossimo se l'inflazione sarà al 6,6%, i pensionati, almeno quelli fino a cinque volte il minimo, saranno l'unica categoria che recupererà in pieno l'inflazione", afferma a Libero Alberto Brambilla, presidente del Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali. "C'è un patto sociale che va rispettato". Negli anni, tutti hanno tagliato gli assegni a partire da Monti che nel 2011 bloccò la rivalutazione delle pensioni più alte di tre volte rispetto al minimo, in pratica 1500 euro. Nel 2018, Lega e Cinque Stelle portarono le fasce da cinque a sette con importi logicamente più bassi. Quest'anno, invece, si è tornati al metodo Prodi. "Quello che serve è una legge duratura e stabile" afferma l'avvocato Celeste Collovati, esperta in materia di previdenza.
"Se c'è un problema di debito pubblico, il rischio è che si vadano a colpire le pensioni. Lo stato dovrebbe essere più attento ad adeguare gli assegni, creando un sistema più semplice che non sia in contrasto con la Costituzione".- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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