Stress test, banche italiane in trincea

Gli istituti si ribellano alle previsioni catastrofiche. «Sistema in salute, i problemi sono altrove»

Stress test, banche italiane in trincea

Davanti al secondo ruzzolone consecutivo in Piazza Affari e alla condanna pronunciata anzitempo da Der Spiegel in vista degli stress test europei, i vertici delle banche italiane non ci stanno: Monte Paschi ha perso un ulteriore 8,7%, Unicredit il 3,03%, Intesa Sanpaolo l'1,13%, Popolare Milano il 4,86% e Ubi Banca il 3,21%.

Eba e Bce hanno imposto di tacere i dettagli fino al D-day di domenica 26 ottobre, ma Carlo Messina (Intesa), Federico Ghizzoni (Unicredit), Pier Francesco Saviotti (Banco Popolare) e Giuseppe Castagna (Bpm) hanno già detto, pur con diverse sfumature, che contano di superare senza grandi problemi la prova muscolare uscita dai laboratori statistici di Bruxelles.

Le banche italiane - si osserva in alcune delle sue ovattate stanze - hanno preventivamente pulito i conti con la raspa, grattando via i residui di sette anni di crisi e i cascami dei prestiti facili concessi in passato ai grandi clienti, e hanno chiesto altri 12 miliardi al mercato solo quest'anno. Il tutto sotto gli occhi (e la supervisione) del governatore di Bankitalia, Ignazio Visco, attento a rimediare ai problemi prima del passaggio di consegne con l'Europa.

Il terremoto in Borsa «non ha nulla a che vedere con l'attesa» degli stress test, ha confermato il capo dell'Eba, Andrea Enria. Questo non esclude che i gruppi più fragili possano essere costretti a dismissioni o infilare la mano nelle tasche dei soci. Ma, taglia corto il capo italiano di Schroders, Mario Spreafico, «non c'è alcun rischio sistemico». A questi prezzi alcune banche «rappresentano un affare».

Piuttosto, è stata la spallata che Atene ha dato alla Troika, con il proposito di violare gli impegni presi con Bce e Fmi, a mandare in tilt il flipper delle Borse. Per il timore che la Grecia, il Paese «Piigs» per antonomasia, mandi in frantumi l'Eurozona. Difficile trovare un terreno più facile per le mani di hedge fund e investitori anglosassoni, aiutati nel loro gioco al ribasso dall'azzeramento dei tassi di interesse deciso dalle banche centrali.

In sostanza, le quotazioni delle banche stanno cadendo a picco non per il pericolo reale degli stress test (ai quali si sottopongono in uno stato generale buono quanto a margini, Core tier 1 e copertura delle sofferenze) ma, come accadeva nell'estate 2011, per la paura del debito sovrano. Così, mentre la spia dello spread arrivava a 200 punti, gli istituzionali hanno iniziato a smontare i loro pacchetti azionari. Perché il «rischio Italia» può fare molto male ai conti di istituti di credito che hanno in pancia 300 miliardi di Bot e Btp. Soprattutto se le scadenze sono lunghe, come appunto nel caso di Monte Paschi: per decisione di Consob, oggi sono vietate le vendite allo scoperto su Siena. Nel mirino anche Carige (-3,2% a 9 centesimi) perché, ragionano ad alta voce gli analisti, l'avvitarsi dei mercati renderà più difficile per l'ad Piero Montani chiudere la vendita delle controllate assicurative al fondo americano Apollo (Genova ha prolungato i negoziati).

Il fatto che anche il motore dell'economia tedesca batta in testa (Berlino ha rivisto le stime sul Pil e l'export è sceso di oltre il 5% in agosto) fino a far temere la recessione tecnica, e la sensazione che Draghi possa aver terminato le cartucce, hanno fatto il resto del disastro: i mercati vogliono il quantitative easing .

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