Tim, Cdp al 7% per arginare Vivendi

Ora i francesi frenano sullo scorporo della rete. "Siamo contrari". E il titolo scende

Tim, Cdp al 7% per arginare Vivendi

Come investire 6 miliardi di euro (circa) in Italia e vivere infelici. Questo è il destino di Vivendi che ha speso circa 4 miliardi per il 23,9% di Tim e 1,2 per il 29,9% di Mediaset. E l'importo rischia di salire vertiginosamente se la società del Biscione e la sua controllata Fininvest riusciranno a portare a casa, tutto o parte, quanto richiesto nella causa in corso con i francesi per il mancato acquisto della pay tv Premium. Lo stato dei fatti è noto: Vivendi ha perso la governance in Telecom il 4 maggio scorso ed è stata obbligata a costituire un trust per mettere la quota Mediaset eccedente il 10%. Insomma non conta nulla a livello di governance anche se in Tim non solo cerca di far sentire la sua voce ma punta a riprendere il controllo del cda, passato nel 2018 al fondo attivista Elliott, nell'assemblea convocata per il 29 marzo prossimo.

Ed è proprio per far fronte agli attacchi dei francesi che, al fianco di Elliott che ha il 10% di Tim, sta crescendo Cdp. La Cassa Depositi e Prestiti, che è azionista al 50% di Open Fiber, proprio ieri, è salita al 7,1% dal 5,03%. In totale per l'intera quota ha speso 823,9 milioni. Nessuna sorpresa visto che Cdp aveva dichiarato nei giorni scorsi, di voler salire fino al 10%. Ieri però il titolo è sceso in Borsa dello 0,67%. Al mercato infatti non sono piaciute le parole destabilizzanti dell'ad di Vivendi Arnaud de Puyfontaine. «Siamo totalmente contro la separazione della rete» ha detto de Puyfontaine che è anche nel cda di Tim. Fin dall'inizio avevamo detto che non vogliamo che Tim sia smantellata perché significherebbe la morte della società. Lo diciamo sempre, lo abbiamo ribadito anche nel documento pubblicato nei giorni scorsi».In realtà nel documento era scritto che Vivendi «era pronta a supportare la fusione di Open Fiber con Tim nel caso in cui le condizioni siano corrette ed eque da un punto di vista operativo, finanziario e normativo e supervisionate da un cda composto in maggioranza da amministratori indipendenti». Sottolineando oltretutto che la società sarebbe stata pronta a sostenere «qualsiasi proposta che si riveli nel miglior interesse a lungo termine di tutti gli azionisti e degli altri stakeholder di Tim, inclusi modelli di business alternativi di rete fissa, iniziative di riduzione del debito, potenziale vendita di asset non strategici, semplificazione della struttura del capitale e distribuzione di dividendi».

Ora invece pare esserci un ripensamento, con de Puyfontaine che ha insistito sulla possibilità di avere una governance che «funzioni e rispetti l'insieme degli azionisti».

La verità è che la governance di Vivendi in Tim non è stata brillante, con l'ad prescelto dai francesi, Amos Genish, obbligato a pesanti svalutazioni. Proprio per questo è stato sostituito a novembre da Luigi Gubitosi, sostenuto solo dai consiglieri in quota Elliott. Il nuovo ad nel suo piano ha promosso la valorizzazione di alcuni asset, come l'integrazione tra le sue torri tlc confluite nella controllata Inwit e quelle di Vodafone, e sta cercando una difficile mediazione con i francesi.

Secondo gli analisti l'incremento della quota di Cdp potrebbe bilanciare gli equilibri sulla governance in vista dell'assemblea, dato che Cdp

ed Elliott insieme potrebbero potenzialmente raggiungere una quota combinata del 20% in Tim. Intanto ieri Tim e Intesa SanPaolo hanno avviato una partnership sui servizi per la telefonia mobile tra Kena Mobile e Banca 5.

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