«Abbiamo detto che il nostro core business è il commercial banking, siamo usciti da una serie di business non strategici, mi aspetto un applauso piuttosto che una contestazione dall’assemblea». L’ad di Unicredit, Federico Ghizzoni, si presenta alla vigilia dell’assise dei soci con una trimestrale che ha superato le attese.
L’utile netto consolidato dei primi tre mesi del 2012 si è attestato a 914 miliardi di euro, in aumento del 12,8% su base annua e al di sopra del consensus (805 milioni). La cifra risente della plusvalenza sul riacquisto delle obbligazioni ibride Tier 1 e Tier 2 (470 milioni), ma anche al netto dell’operazione (444 milioni) si registra una crescita dell’80% su base trimestrale (-45% sull’anno) grazie al buon andamento dell’attività di trading (+64% a 1,23 miliardi).
Il margine di intermediazione ha segnato un +2,5% tendenziale a 7,1 miliardi, i costi operativi sono rimasti sostanzialmente stabili a 3,8 miliardi (-0,5%) e il risultato netto di gestione è cresciuto del 19% a 1,867 miliardi. Prosegue inoltre il turnaround dell’attività commerciale in Italia: i ricavi sono aumentati del 4,2% a 2,634 miliardi e l’utile ante imposte è aumentato del 278% a 276 milioni.
Altre note positive provengono dai coefficienti patrimoniali: l’aumento di capitale da 7,5 miliardi ha portato il Core Tier 1 secondo gli standard di Basilea III ben sopra il 9% (al 10,31% secondo i vecchi parametri) e dunque al di sopra della soglia minima richiesta dall’Eba. Migliorata anche la posizione di liquidità con un rapporto crediti su depositi sceso dal 140 al 136 per cento.
Tale situazione pone anche un interrogativo sulla flessione dell’1,1% a 553 miliardi dei crediti alla clientela. «Non è questione di credit crunch - taglia corto Ghizzoni - perché sia su corporate che retail c’è una richiesta inferiore, l’aumento del costo del funding incide sui mutui». Il dg Roberto Nicastro ha poi spiegato che «la maggiore crescita delle sofferenze è nelle pmi» (le svalutazioni consolidate sono comunque scese del 7% a 1,4 miliardi). In ogni caso, nonostante sull’Italia spirino venti di recessione, Ghizzoni è «fiducioso di poter navigare in acque agitate» e «non c’è intenzione di rivedere il piano al 2015» perché Unicredit ritiene concreta la possibilità di una ripresa macro nel secondo semestre dell’anno. L’Italia, poi, pesa «solo» per il 36% dei ricavi.
Anche se i risultati super hanno entusiasmato il mercato (+6,76% a 2,842 euro), Unicredit in Borsa viaggia ancora su quotazioni basse. Probabilmente perché alcuni analisti non vedono di buon occhio il carry trade sui Btp (in portafoglio ce ne sono 41 miliardi sui 37-38 di fine 2011 e comunque «l’orientamento è rimanere sui 40 miliardi»). L’ad s’è lamentate di quelle interpretazioni restrittive di Basilea III e soprattutto degli interventi a gamba tesa delle authority nazionali che rendono più difficile la gestione di eccedenze o carenze patrimoniali. «È una decisione politica».
Il capitolo dividendo resta aperto. La decisione sul quantum «è ancora prematura» e verrà presa a fine anno, «se non ci saranno catastrofi, la nostra intenzione è distribuirlo», ha confermato Ghizzoni.
Nessuna nuova su Mediobanca: per il sostituto a Piazzetta Cuccia di Fabrizio Palenzona, che oggi sarà confermato in cda dall’assemblea che aprirà alla presidenza di Giuseppe Vita. «Deciderà il nuovo consiglio sulla base della mia proposta dopo che saranno costituiti i comitati nella riunione straordinaria del 29 maggio», ha concluso Ghizzoni.
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