Le edicole in guerra con Internet: «Non sarà un clic a farci sparire»

Crisi editoria. Dov’è la radice malata di quest’albero? Per capirlo siamo andati nei luoghi più visibili per il lettore, quelli che lungo la strada attirano con i colori delle riviste e i timbri forti dei quotidiani: le edicole. Come butta la vita nei chiochi che distribuiscono le notizie? «E’ difficile, e le cause sono molteplici. Le principali: l’avvento delle nuove tecnologie e il funzionamento malato della catena distributiva». Patrizia Pizzamiglio, 57 anni, gestisce l’omonima edicola in via Corentaggio. Ama il suo lavoro. Meno le piace quello che sta accadendo. «Noi siamo una delle 160 edicole milanesi ad esserci dotati di un sistema computerizzato attraverso il quale abbiamo un monitoraggio in diretta dell’invio, della vendita, della resa dei giornali. Dobbiamo lottare ogni giorno perché i clienti vogliono copie arretrate e non riusciamo a ottenerle, fascicoli che hanno perso perché usciti in date passate e non riusciamo ad averli. La domanda è: per gli editori l’edicola è il canale di vendita preferito o non più?».
Simona Latella ha solo 25 anni ed è entrata a lavorare nell’attività di famiglia, in piazza Duca D’Aosta, da sei. «Crisi a parte, dovuta al calo di vendita ma soprattutto al fatto che oggi il giornale via Internet sta mangiando sempre più terreno al cartaceo - conferma - il nostro successo dipende dal contatto che l’edicolante riesce a stabilire con la gente. I turni di lavoro sono massacranti, il dialogo con la clientela richiede vivacità e complicità. La cosa che mi preoccupa è che i miei coetanei non vogliono più assumersi l’onere di questa professione e i chioschi finiscono in mano a sudamericani e cinesi».
Nella piazzetta tra via San Gregorio e via Benedetto Marcello, Lina Zanetti ha un diavolo per... pagina. «Non si può descriverci come precipitati in una baratro - arringa - come ha fatto questo quotidiano qualche giorno fa, perché è un comportamento che fa male agli stessi giornali. Nessuno smentisce che la vendita sia in forte calo, ma non si può nemmeno affermare che solo gli extracomunitari siano disponibili ad assumersi i rischi del mestiere. Non è che i nostri giovani non si mettano in gioco. La mia attività è in vendita. Ho ricevuto richieste da parte di italiani, ma il vero ostacolo sono le banche che non concedono mutui e prestiti».
Meccanismo confermato anche da Gianfranco Campari in piazza Melozzo da Forlì, zona San Siro. «Sono qui da otto anni ma ora vorrei ritornare alla mia passione precedente: il vigile del fuoco. Sono uno dei fortunati che non ha risentito eccessivamente della crisi ma a settembre vendo. Non so chi compererà, anche se è noto che i cinesi girano con pacchetti di soldi che noi non possiamo assolutamente permetterci».
Insieme agli omini dagli occhi a mandorla, sono i peruviani che stanno spopolando tra gli edicolanti. «Non parliamo solo di noi. Vogliamo invece dire di quelli che vengono a consegnare i quotidiani al mattino? Non si vede più un italiano. Tutti egiziani». Paolo Pelosi è da nove anni in piazza Oberdan. «È chiaro che i nostri connazionali sono spavenatati dalla crisi, rispetto a un anno e mezzo fa c’è stato un calo di vendite di almeno il 60%. Ma visto che sto parlando al Giornale vorrei porre una domanda: quale mestiere vorranno fare i nostri connazionali tra un po’ di tempo?». Se lo chiede anche Milena Panieva, bulgara, 27 anni, da pochi mesi in Corso Venezia numero 51. «Mi sveglio alle quattro e un quarto perché entro le sette del mattino devo fare le consegne ai privati, agli uffici e alle banche, che sono in continua diminuzione perché la fruizione delle notizie su Internet sta prendendo sempre più piede. Purtroppo. Le mie coetanee, che sono commesse, impiegate o bariste, mi dicono che non farebbero mai quello che faccio io». Quanto costa un’edicola? «Quattro anni fa l’ho pagata seicento mila euro e la resa, sebbene non disastrosa, non è neppure buona come un tempo», confessa Luciano Costante, 35 anni, in corso Venezia all’angolo con via Tunisia. «Sono sempre stato un edicolante. Prima lavoravo dentro all’ospedale di Niguarda, ma me ne sono andato perché lì dentro, come si può immaginare, non si vedono cose tanto belle. Ma questa è passione e con la passione si affronta tutto, anche la recessione delle vendite».
Lo conferma anche Salvatore Leone davanti a Porta Venezia. «Stare qui è massacrante. Caldo, freddo, polvere, spesso non smetto per 18 ore, visto che tengo aperto 24 ore su 24.

Ho pagato il mio chiostro 400 mila euro, ma non farei altro al mondo. La richiesta è crollata, eppure posso dire che il milanese è molto affezionato al suo quotidiano. Non va a letto senza il giornale in mano. Spesso ne vendo una copia anche a mezzanotte. È una soddisfazione».

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