Il prudente ministro dell’Economia, Domenico Siniscalco, ieri, a Santa Margherita Ligure, al Convegno dei Giovani di Confindustria, non lo è stato. Ha parlato anche lui dell’ipotesi di tassare le cosiddette rendite. A ruota si sono dichiarati favorevoli Guglielmo Epifani, segretario della Cgil, e Gianni Alemanno, ministro alle Risorse agricole.
Secondo noi Siniscalco ha sbagliato il momento e il messaggio. Vediamo cosa ha detto. «Le grandi riforme fiscali si fanno spostando il peso da una tassa all’altra». Per la verità, a quanto ci risulta, qualcuno le ha fatte anche senza spostare, ma soltanto abbassando. Ma vediamo il prosieguo del discorso: «Ci sono tre aree su cui poter intervenire: i consumi, i prodotti e le rendite». Ma siccome, sintetizziamo noi, agire sui consumi è difficile, e sui prodotti è impossibile, non ci rimane che tassare le cosiddette rendite.
Si tratta di un messaggio sbagliato. Quando si parla di una rendita ci si immagina che qualcuno guadagni qualcosa senza far fatica, mentre chiunque guadagna, una certa fatica la deve fare. È vero che chi ha una rendita non fatica oggi per averla, perché ha faticato ieri per guadagnare quei soldi che sono diventati risparmi e sui quali guadagna, legittimamente, qualcosa. Per la verità molto poco. Naturalmente occorre intendersi: ci può essere anche qualcuno che ritiene di dover indirizzare i risparmi. Come è noto, c’è chi ha sostenuto che, siccome pochi soldi vanno alle attività produttive, tassando le rendite, come d’incanto, i soldi si sposterebbero a quelle. Purtroppo non funziona così. È un po’ più complessa la cosa e, in particolare, la rende complessa il fatto che ognuno decide di mettere i soldi dove vuole. Cioè dove gli conviene.
Sarebbe stato meglio dire che in Italia è opportuno razionalizzare il sistema di tassazione a favore dei piccoli risparmiatori. Va ricordato che sui depositi bancari pesa il 28 per cento di tassazione, mentre sulle rendite pesa il 12,5 per cento.
Oltre a essere sbagliato il messaggio è sbagliato anche il momento nel quale è stato detto. Un messaggio del genere che arriva dal governo che ha portato lo stendardo della diminuzione della pressione fiscale, nella processione di questi anni di governo, ha certamente un effetto fumogeno. Non si vede più nulla di chiaro. Non si capisce più se, data l’emergenza, possa valere tutto e il contrario di tutto. Non è senza interesse il fatto che l’anno che abbiamo davanti è un anno «elettorale fondamentale». E quindi si fa veramente fatica a capire il perché in questo momento un messaggio del genere.
Se usciamo dalla politica un attimo, sinceramente sembra un messaggio un po’ spiazzante anche dal punto di vista generale. Non crediamo sia fantascienza immaginarsi un certo esodo di risparmi verso altri Paesi.
Lo si è fatto forse per dare una strizzata d’occhio a Bruxelles? Sì, ma anche se fosse per questo chi ha calcolato il gettito complessivo dell’aumento della tassazione sulle rendite ha indicato il guadagno in uno 0,3 per cento del Pil. È questo di cui abbiamo bisogno? E la cifra merita un vero e proprio terremoto all’interno del non saldissimo consenso che in questo momento ha il centrodestra? Si può decidere di fare tutto. Il presidente degli Stati Uniti Bush ha deciso di rompere il vincolo di bilancio, che negli Usa equivale un po’ al nostro Garibaldi. Non si tocca. Lo ha fatto spiegandolo, collocandolo dentro una politica coerente e, in quanto tale, comprensibile. Non dalla New York University, ma dall’ultimo cittadino statunitense.
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