Ohibò che notizia, han vinto gli islamisti. Le teste d’uovo del giornalismo e della geopolitica nostrana e internazionale, i padri putativi della cosiddetta rivoluzione di Facebook e internet, son già lì a lambiccarsi. A sentir queste Alici nell’Egitto delle Meraviglie il 40 per cento intascato dai Fratelli Musulmani e il 25 per cento portato a casa dagli integralisti salafiti del partito Al Nour - contro il poco più del venti per cento incassato dai laici - è un’imprevedibile sorpresa. Un inimmaginabile scarto rispetto alla preventivata vittoria liberal democratica. La vera sorpresa è un’altra. La vera sorpresa è scoprire come gran parte dei cosiddetti esperti, compresi quelli sguinzagliati a piazza Tahrir dalle grandi testate internazionali, si rivelino ancora una volta inadeguati, poco informati, incapaci di comprendere la differenza tra i propri “desiderata” e la realtà di un Paese. Non è una novità.
Succede dai tempi del Vietnam quando gazzette e vati del pensiero progressista scambiarono per vittoria della democrazia la salita al potere di Pol Pot. Da allora, nonostante pentimenti e lacrime di coccodrillo, i grandi profeti del quotidiano continuano a non azzeccarne una. Il problema a volte non è né la malafede, né un’interpretazione dogmatica slegata da qualsiasi analisi degli eventi.
Il problema a volte deriva dalla superficialità, dalla naturale propensione a seguire il pensiero alla moda. Repubblica, nave scuola delle banalità progressiste, è il miglior esempio di questa superficialità fattasi dogma. Dopo averci raccontato per dieci mesi la favola bella delle «rivolte del web», ci spiega ora che «la rivoluzione ha cambiato faccia». Il problema è molto diverso. In Egitto non c’è mai stata un’autentica rivoluzione. A piazza Tahrir sono andate in scena solo delle colorite dimostrazioni sostenute da un’elite laica e liberale. Quel che ha innescato la caduta di Mubarak è stato un colpo di Stato ordito dal Feldmaresciallo Tantawi e dagli altri vecchi arnesi del regime con il sostegno dell’amministrazione Obama.
I numeri del voto non bisognava andarli a cercare nel neonato movimento di piazza Tahrir, ma nella storia decennale dei Fratelli Musulmani, un movimento islamista nato nel 1928 e messo fuori legge nel 1954. Un movimento la cui vera forza è stata - da allora - quella di darsi una struttura e un’organizzazione semiclandestina che gli ha permesso di crescere e moltiplicarsi nonostante la repressione. Per capire che quel movimento fosse la vera forza organizzativa e propulsiva dello scontro con i militari bastava andare a vedere i risultati delle elezioni del 2005. Allora nonostante la repressione, nonostante il divieto di presentare proprie liste, nonostante lo stretto controllo esercitato dal regime di Mubarak sulle urne, i Fratelli Musulmani conquistarono 88 dei 454 seggi del Parlamento. Dietro a quel successo c’erano reti di moschee, organizzazioni di beneficenza e centri di assistenza sociali capaci di porsi come alternativa al complesso militar industriale dei generali.
I gruppi laici e liberali di piazza Tahrir, oltre a non disporre di questa struttura, sono una costellazione di forze frammentaria e priva di leader di rilievo. Il loro principale limite è quello di muoversi nell’esiguo spazio grigio non occupato da militari e Fratelli Musulmani, di essere l’erba rara di un Paese dove chi conta sta o con le classi agiate del vecchio regime o con il grande elettorato islamico abituato a sopravvivere con 60 dollari al mese.
Neppure per prevedere la vittoria degli ultra integralisti di Nour serviva la sfera di vetro.
Nell’Egitto anni Ottanta i terroristi della Jihad islamica rappresentavano la punta d’un iceberg che occupava vaste regioni e interi quartieri del Cairo. La dura repressione di Mubarak aveva tolto di mezzo i capi, ma non l’humus di una cultura integralista riemersa in tutta la sua forza non appena si sono aperte le urne.
Incuranti di ciò l’amministrazione Obama e l’Occidente hanno seguito a ruota la superficialità dei media puntando tutto sull’improbabile vittoria laica. Sulla scia di queste leggerezze la più importante nazione mediorientale si ritrova condannata a scegliere tra l’incognita islamista, una nuova dittatura militare o un’insostenibile guerra civile.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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