Era scampato all’11 settembre: è tra i dispersi

Agente di viaggi, 31 anni, fidanzato con una londinese. È partita la mobilitazione

Giuseppe de Bellis

Mike è stato inseguito dalla morte. L’ha evitata quattro anni fa, l’ha schivata per caso in quel maledetto 11 settembre. Stava raggiungendo il suo posto di lavoro nel financial district di New York. Sentì un botto. Vide la tragedia: il sangue, le urla. Ora il destino l’ha inghiottito nel silenzio della metropolitana di Londra. Era lì la mattina di giovedì. Era lì perché si era trasferito in Inghilterra dopo gli attentati di Manhattan. Perché quegli aerei dentro le Twin towers gli avevano rovinato la vita. Li vide arrivare i terroristi, li vide sventrare la sua città. «L’11 settembre lo portò in uno stato di profonda depressione. Non voleva più lavorare. Voleva fuggire». È fuggito nel posto sbagliato. È andato dove la morte si è presentata sotto terra e non nel cielo.
Di questo ragazzo del Bronx, scappato dalla ferita delle torri gemelle, adesso non ci sono notizie. C’è una foto che ieri dominava la prima pagina del Daily News e del New York Post. È la stessa che la famiglia ha chiesto di affiggere accanto ai manifesti appiccicati sulle pareti di ogni angolo della città: «Ha 31 anni, si chiama Mike Matsushita. È un americano di origini filippine. Se lo vedete chiamateci, per favore». Lo cercano in tanti. A cominciare dalla fidanzata, una ragazza di Londra che Mike seguì in Inghilterra pochi mesi dopo gli attacchi di Manhattan. Giovedì non si erano visti: lei era con i genitori, l’aveva sentito la sera di mercoledì. Chi invece lo aveva chiamato la mattina di giovedì è Robyn Nixon, una delle persone più vicine alla coppia: «Era a casa e stava per uscire e andare al lavoro. Erano le 8.15». L’ultima volta che qualcuno ha sentito la sua voce. «Viveva a Londra perché dopo l’11 settembre aveva deciso di cambiare il suo stile di vita. Era cambiato, era depresso, colpito, scosso. Voleva cambiare».
La decisione. Mike si licenziò dal lavoro in un'istituzione finanziaria del downtown di Manhattan. Volò a Londra e finì a lavorare nella Intrepid tour, un tour operator specializzato in viaggi avventurosi. La sua specializzazione erano i Paesi del Sudest asiatico. Durante uno dei viaggi incontrò Rosie, una ragazza di 28 anni. Lavorava anche lei per la stessa società. Tornarono insieme. Nella stessa casa. Alla fine di un altro viaggio di Mike un’altra svolta: addio al lavoro avventuroso, per uno più tranquillo. In un ufficio, con la giacca e la cravatta. In ufficio con un curriculum ottimo, pieno di esperienza maturata nell’information technology a New York. Dal Financial district degli aerei dentro le torri gemelle, alla City delle bombe della Tube londinese.
Eccola la morte che l’ha inseguito. Per arrivare in ufficio, Mike doveva prendere un treno sulla Piccadilly line. Quella dannata linea che passa tra King's Cross e Russel Square, la tratta colpita da uno degli attentati. Matsushita entrava nel sottopassaggio dell’underground poco dopo le otto di mattina. Giovedì era in leggero ritardo. Giovedì è stato il giorno del silenzio.

Quello che c’è adesso sul suo nome: non c’è negli ospedali, non c’è nelle liste dei corpi riconosciuti. C’è solo in quel manifesto appeso sulle cabine telefoniche, agli angoli delle strade. I manifesti identici a quelli dei dispersi dell’11 settembre 2001.

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