Se una ragazza di 48 chili si sente grassa e scende nella farmacia di sotto per il beverone gusto doping, lo spettro delle ipotesi è abbastanza ridotto: unidiozia, una furbata. In entrambi i casi, abbiamo però una certezza assoluta: per qualunque esigenza di forma fisica o psichica, nello sport come nella vita, si va subito in farmacia. Ci va persino una ragazza di 48 chili che vuole essere fortissima in uno sport inesistente come il ciclismo femminile. È indiscutibile: il doping circola certamente nelle vene, ma è molto più infiltrato nella testa, nelle idee, nella mentalità della gente.
È dura combattere questa egemonia culturale. Lidea di fare sport a pane e acqua non è semplicemente rivoluzionaria: è eversiva. Ecco: Giorgio Squinzi può essere considerato il capo dei sovversivi. Tifoso e praticante di ciclismo, per dieci anni ha investito soldi del suo impero Mapei in uno squadrone. Ad un certo punto, però, ha mangiato la foglia. E in quel preciso punto della sua passione ha deciso di non spendere più per lo squadrone, ma per la sua eresia: fare sport ad altissimo livello senza chimica. Lui, che per i surreali casi della vita è presidente di Federchimica.
Dai primi mesi del 97, quellidea circola dentro un centro altamente specializzato chiamato «Mapei Sport Service», diretto dallo specialista Aldo Sassi, sede a Castellanza. Tra la spettabile clientela, ciclisti come Cadel Evans, due volte secondo al Tour, ma anche maratoneti e sciatori, nonché squadre di calcio come Sampdoria e Sassuolo. Prima di arrivare alla Juve, Ranieri ci portava il Valencia e il Chelsea. Negli ultimi mesi, dopo il cataclisma personale, qui sta costruendo la sua redenzione Ivan Basso, in vista del ritorno in ottobre.
Misurazioni, test, tabelle di allenamento. Grande attenzione ai materiali e allalimentazione. Ricerca continua. Macchinari avanzati e collegamenti con le università di tutto il mondo. Bandita soltanto una branca della scienza: la medicina sporca e praticona. Una ventina di persone lavora sugli atleti per dimostrare una cosa sola ed elementare: gareggiare - vincere - senza truffare. Senza diventare dei tossici. Appunto: oggigiorno, uneresia. Benvenuti sullo strano pianeta del candore.
Squinzi parla sempre del Centro come del figliolo più caro. È a capo di un impero, con aziende in tutto il mondo (settore materiali per ledilizia), ma considera questo «il fiore allocchiello». Perché è la dimostrazione concreta, con fatti e risultati, che leresia non è poi così folle.
«Ricordo come ci arrivai - racconta oggi, contemplando mestamente la nuova ondata di disastri -: con la squadra ero reduce dai trionfi di Rominger alla Vuelta e al Giro. Ad un certo punto però ho aperto gli occhi. Succedevano cose incredibili...».
Con sorriso amaro, rammenta quella volta che lo spagnolo Olano - capitano pagatissimo della squadra - arrivò al Monte Sirino, prima salita del Giro 96, neppure così terrificante, con 120 di ritardo. «Telefonai al direttore sportivo Fernandez: che succede, gli chiedo. E quello: presidente, Olano è malato: ha 52 di ematocrito. Lì ho cominciato ad intuire qualcosa. Poi, chiedendo lumi in giro, ho compreso come funzionava: in quegli anni Novanta, il doping ematico stravolgeva tutto. Anche allepoca di Merckx e Gimondi prendevano doping: ma il ronzino restava ronzino, il campione restava campione».
Con i traffici sul sangue, con i rabbocchi della famigerata Epo, invece, si stravolge la natura. Si ribaltano le gerarchie stabilite dalla mamma. «Torno al nostro Rominger: classe indubbia, ma non reggeva più di una settimana. Improvvisamente, si mise a vincere i grandi giri. Ma tutte le grandi imprese di quel periodo erano viziate. Pesantemente viziate».
Allora, la svolta. Alla fine del 96, pulizia dentro la squadra. E fondazione del Centro, sfida temeraria e romantica. La filosofia, semplice e ferma: assistere lo sport di vertice con ogni mezzo possibile, senza trucchi. «È la rappresentazione della mia idea di sport. Punto».
Sin dallinizio, il centro è aperto anche al semplice ragionier Fantozzi e alla sciura Pina, per misurazioni e consulenze su prestazioni di stampo dopolavoristico: perché lo sport, a ogni livello, anche quello per il benessere e la salute, richiede un minimo di serietà. Sono 3.500 le persone che bussano ogni anno al Centro. Tutti i clienti, dai più vip ai più anonimi, pagano il servizio. Ma i costi restano inevitabilmente superiori ai ricavi: un milione lanno la quota a carico della Mapei. Squinzi considera la spesa un investimento sulla sua idea. Ancora oggi, nonostante tutto, è portato a credere che una via duscita esista: «Controllare con il passaporto biologico la vita ematica degli atleti è una buona cosa. Rileva subito strani sbalzi. Ma ancora più importante è la decisione della Roche di inserire traccianti nei medicinali. Con queste armi, si può fare una bella pulizia...».
La conclusione sa di finale aperto, non di pietra tombale.
Tra gli eretici dello sport pulito
Da Evans ai dopolavoristi, dalla Samp ai maratoneti. Nel centro Mapei, Squinzi coltiva la sua sfida: «Si può vincere senza chimica»
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