Eroi sulla carta, divi sullo schermo

Al Mart di Rovereto una mostra sul rapporto cinema-fumetti. Batman, Tex&Co.: la «banda» catturata dal grande schermo

Forse, un poco distratti dalle meraviglie del cinema, non ce ne siamo resi conto. Ma il secolo Ventesimo è stato il secolo del fumetto. L’epoca in cui la bande dessinée, come la chiamano i francesi, è divenuta fenomeno di massa. I fumetti sono passati tra mille mani, prima in quelle degli adulti (perché i cartoon nascono come strisce sui quotidiani), poi in quelle dei più piccini, per tornare infine in quelle dei grandi, quando i fumettari sono stati sdoganati come artisti. Sono riusciti anche a ispirare correnti culturali di gran voga, come la pop-art, il cui esponente forse maggiore, Roy Lichtenstein, quasi non ha fatto altro per tutta la vita se non ricreare in forma straniata e vagamente allucinatoria temi e atmosfere del fumetto. E, alla fine, le strisce designate hanno contaminato anche il loro fratello più appariscente, il cinema. Fateci caso: quanti film sono stati tratti da storie a fumetti? Quanti eroi di carta sono diventati personaggi di celluloide? Tantissimi, da Flash Gordon a Batman, da Superman all’Uomo Ragno, da Tex ad Asterix. Per non parlare dei registi, anche immensi, come Federico Fellini, che sono stati affascinati e influenzati dai fumetti. E proprio a questo connubio tra i due generi novecenteschi è dedicata la mostra che si apre domani al Museo di arte contemporanea (Mart) di Rovereto: Cinema&Fumetto: i personaggi dei comics sul grande schermo, a cura di Roberto Festi, fino al 17 settembre.
È una contaminazione tra immaginari affini quella che lega fumetto e cinema. Una relazione che corre nei due sensi. Se è vero, per esempio, che Gianluigi Bonelli, il creatore di Tex, inventò il suo Far West sulla base dei film con John Wayne che andava a vedere nei cinema di Porta Vercellina a Milano. E che suo figlio, Sergio Bonelli, prese in prestito per Dylan Dog le fattezze di un divo come Rupert Everett. Mentre, su un altro piano, si potrebbero ricordare gli album trash di Lando, pietra miliare del pecoreccio nostrano, che importavano nei fumetti la figura di Lando Buzzanca come stereotipo del maschio italico. Ma la strada percorsa più di frequente è stata quella inversa. Il cinema ha saccheggiato i fumetti. Ne ha rubato non solo le storie ma anche le atmosfere. Il cinema stesso è diventato spesso fumettistico. Splendido esempio ne sia la Barbarella (1968) di Roger Vadim dove Jane Fonda, nella sua astratta e futuristica perfezione, non solo interpreta un’eroina di carta ma in qualche modo si fa essa stessa fumetto, icona senza spessore. Arrivando così quasi a smentire quello che diceva Fellini: «Non credo che si possa riproporre nel cinema il fascino più misterioso, più suggestivo del fumetto, perché sono veramente due modi di espressione diversi. Il fumetto può prestare al cinema i suoi personaggi, può prestare al cinema le sue storie, può prestare al cinema anche il suo tipo di fantasia, ma non la sua suggestione più segreta, che è quella dell’immobilità delle farfalle trafitte dallo spillone». Perlatro lo stesso Fellini, negli anni Ottanta, avviò una collaborazione con Milo Manara dove, in qualche modo, il fumetto finì col sostituirsi al cinema. Due soggetti di Fellini che non divennero mai film, Viaggio a Tulum e Il viaggio di G. Mastorna detto Fernet, furono infatti realizzati da Manara come strisce.
Ma è in fondo quella «suggestione segreta» di cui parlava Fellini, quella inquietante immobilità da farfalla trafitta, ad ammantare di fascino il fumetto. Il che non toglie il fumetto sia servito poi a tutte le cause. Per esempio, a quella della propaganda politica: dalle avventure di Romolo, italiano in Abissinia, che comparivano sull’Avventuroso in epoca fascista, fino alla rivoluzione russa raccontata con le nuvolette, nelle biografie disegnate di Lenin che si stampavano in Cina. A volte cinema e fumetti hanno attinto entrambi a una fonte letteraria, come nel caso delle storie di Tarzan o di Conan il Barbaro, entrambe nate in origine come serie romanzesche. Altre volte un genere fumettistico si è trasformato in filone cinematografico. Pensate alle storie dei superoi. Superman e Batman nascono a due anni di distanza, nel 1938 il primo e nel 1939 il secondo. Tutti e due orfani in tenera età (secondo un archetipo fiabesco riadattato al mondo fumettaro) iniziano dagli anni Quaranta a duellare a colpi di film. Per ora ha vinto Superman, con quattordici pellicole contro otto. Ma Batman può vantare registi di maggior vaglia, come Tim Burton, altro uomo di cinema cresciuto a pane e cartoon. Mentre l’immaginario dei baby boomers dell’Occidente progredito è stato segnato dalle invenzioni di Stan Lee (L’Uomo Ragno, I fantastici quattro, Hulk, eccetera) che ritornano ora uno dopo l’altro in versione cinematografica postmoderna. Ma si sono fatti cinema anche Diabolik, Kriminal, Satanik: tutti i fumetti un poco trasgressivi, e con un retrogusto tra l’erotico e il perverso, che furoreggiavano nell’Italia anni Settanta. E pure Tex, infine, è ritornato nel grembo del cinema che lo aveva partorito, in una versione di Duccio Tessari con Giuliano Gemma.
Questa la storia che manifesti cinematografici e strisce disegnate racconteranno a Rovereto. Anche se non va dimenticata la preistoria del fumetto. Che divenne sì un fenomeno popolare nel 1896, pochi mesi dopo la proiezione del primo film a opera dei fratelli Lumière, quando Richard Felton Outcault disegnò sul quotidiano New York World di Joseph Pulitzer il personaggio di Yellow Kid. Ma era già stato praticato da uno scrittore come Rudolphe Topffer (1799-1846), autore di romanzi a vignette tra i quali c’era anche una parodia del Faust di Johann Wolfgang Goethe. Che non solo non si offese ma divenne il più autorevole sponsor di Topffer: «È veramente divertente! Effonde spirito e vivacità! Alcune di queste pagine sono incomparabili.

Se, in avvenire, scegliesse soggetti meno frivoli e divenisse ancor più conciso, farebbe cose da superare l’immaginazione». Insomma: il fumetto, figlio del Novecento, può tuttavia vantare come padrino nientemeno che Goethe.

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