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65 detenuti della prigione afghana di Bagram rilasciati tra proteste Usa

Gli americani sostengono che sono pericolosi e implicati in attacchi contro la forza internazionale, ma per Karzai il carcere è una "fabbrica di talebani"

Una foto del carcere di Parwan, vicino alla base di Bagram
Una foto del carcere di Parwan, vicino alla base di Bagram

Tra le proteste di Washington, le autorità afghane hanno rilasciato 65 detenuti che si trovavano nell'ex prigione statunitense di Bagram. A settembre 2012 il carcere è passato sotto il controllo delle autorità locali. Da allora, sono stati rilasciati senza processo almeno 560 prigionieri, su 760 casi esaminati.

Secondo gli Stati Uniti, molti dei detenuti di Bagram sono responsabili di attacchi che hanno ucciso decine di soldati afghani e della forza internazionale. Per l'Afghan Review Board di Kabul non ci sono invece prove a sufficienza per trattenerli.

Il presidente Karzai ha definito in passato il carcere di Bagram una "fabbrica di talebani", "un luogo dove persone innocenti sono state torturate, insultate e trasformate in pericolosi criminali". In molti hanno spiegato la decisione di rilasciare i prigionieri come una scelta più che altro politica e arrivata direttamente dalla presidenza.

65 persone, delle 88 rimaste nel carcere, sono ora in libertà. Il ministro della Difesa afghano, Mohammad Zair Azimi, ha commentato la decisione con l'Associated Press, dicendo che il compito delle autorità è "proteggere i prigionieri, soltanto questo".

La decisione di rilasciare i detenuti arriva in un momento in cui i motivi di contrasto tra l'Afghanistan e gli Stati Uniti non mancano. Il presidente Karzai ha finora rifiutato di firmare un accordo di sicurezza che permetterebbe a una forza statunitense ridotta di restare nel Paese anche dopo la fine del 2014 e difficilmente lo farà prima delle elezioni presidenziali di aprile.

538em;">Sulla falsa riga degli statunitensi anche la Nato. Il Segretario generale, Anders Fog Rasmussen, ha definito la liberazione dei prigionieri, presunti talebani, "un grande passo indietro" e una decisione "senza basi legali".

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