Ora la recessione fa paura anche in Cina

Crescono del 7%, ma per i loro ritmi equivale a una crisi. Il partito teme rivolte e prepara nuove privatizzazioni

Ora la recessione fa paura anche in Cina

Se speravate nella Cina cercate scampo altrove. Non sarà lei a salvarci dalla crisi. Anzi forse c'infliggerà il colpo fatale. I dati parlano chiaro. Il gigante ha i piedi d'argilla e rischia di crollare travolto dal proprio peso e dalle proprie inadeguatezze politico sociali. Per capirlo basta esaminare gli indicatori economici e demografici. Il primo dato cruciale è quello sulla crescita. Il colosso rosso, abituato in passato a tassi a due cifre è fermo nel secondo quadrimestre del 2012 al 7,6 %. In Italia e in Europa ci leccheremmo i baffi. In Cina quel numero fa rabbrividire. In una nazione dove c'è ancora tantissimo da costruire per garantire ai cittadini l'accesso ai beni primari il dato segnala una crisi di sistema. Evidenziata ancor di più dalle stime dell'indice Pmi-Hsbc. Il dato misura gli ordini dell'industria manifatturiera ed è considerato sintomo di allarme se non supera quota 50. Nelle ultime settimane l'indice, già fermo a luglio al 49,3, è precipitato al 47,8, il punto più basso da novembre. «Il livello delle scorte è ai massimi, mentre gli ordini sono al livello più basso dal dicembre 2008. Gli ordinativi esteri sono al livello più basso dal gennaio 2009. È difficile trovare spunti positivo in questi dati»- sintetizza una nota di Westpac Bank. Leggi recessione dietro l'angolo.

Il dato che rischia di trasformare questi due sintomi in una diagnosi infausta è quello demografico. Oggi i cinesi con più di 60 primavere sul groppone sono il 13,3 %. La generazione emergente, quella sotto i 14 anni, rappresenta il 17 % con un netto calo rispetto al 23 di 12 anni fa. Messi insieme questi dati rivelano una realtà paradossale. La nazione che per prima ha superato la barriera del miliardo di abitanti, arrivando oggi al miliardo e 340 milioni, è un paese per vecchi. Un paese dove le industrie avranno presto difficoltà a trovare quelle maestranze tra i 17 e i 24 anni considerate il naturale motore delle economie in sviluppo. Il paradosso non è casuale. È figlio delle politiche avviate nel 1978 quando, per timore di non riuscire a sfamare i nuovi nati, la dirigenza comunista impose la legge del figlio unico.Oggi quella legge rischia di rivelarsi l'autentico peccato mortale del colosso d'argilla. Nessun correttivo economico o stimolante della crescita è in grado di correggere i danni di una struttura sociale in cui la mancanza di forze fresche determina un aumento del costo del lavoro ed in cui un numero decrescente di giovani lavoratori è condannato a pagare le pensioni e i costi sociali di una moltitudine di anziani. Una moltitudine che grazie alle migliorate condizioni di vita sopravvive, tra l'altro, assai più a lungo.

La comprensione dei problemi dell'economia cinese aiuta a capire quanta preoccupazione aleggi ai vertici dell'establishment politico a poche settimane dal 18° congresso del partito comunista del prossimo autunno. A conti fatti molti dirigenti pensano o auspicano che l'appuntamento sia l'ultimo dell'era comunista. Solo abolendo l'ideologia e aprendo al mercato si potrà infatti regalare un po' d'aria a uno sviluppo condannato altrimenti a implodere. Solo privatizzando e sottraendo l'economia al controllo dello stato e dei gerarchi di partito, trasformatisi in corrotti e avidi oligarchi, si riusciranno ad affrontare le esigenze della nazione. Che non sono poche. Se non si riuscirà ad attenuare il tremendo divario sociale che divide poche migliaia di nuovi miliardari da centinaia di milioni di non garantiti, in lotta per acqua e cibi non inquinati, la Cina rischia di trasformarsi in uno sterminato focolaio di rivolte. Per capirlo basta ricordare i sei giorni di tumulti che ad autunno sconvolsero il villaggio di Wakun nel sud del paese. Quella rivolta, una delle poche registrate dai media cinesi, fu definita il risultato delle contraddizioni di una società in cui i ricchi se la godono mentre le classi lavoratrici muoiono di smog e non riescono, a causa dell'aumento dei prezzi a trovare un buco in cui vivere.

Ma dietro la sollevazione di Wakun si nascondono secondo gli esperti almeno 150mila insurrezioni annue soppresse nel silenzio. Un silenzio che rischia ora di esplodere trascinando il paese nel caos e nell'ingovernabilità.

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