La crisi di governo che imprigiona la Grecia rappresenta una mina pronta a esplodere nella pancia di Eurolandia: Atene ha risorse per resistere qualche mese - secondo alcuni analisti non oltre due - poi, in mancanza di un nuovo intervento da parte della Banca centrale eurupea e del Fondo monetario internazionale, la bancarotta diventerebbe una realtà, insieme all’addio all’euro.
Per quanto quello di Atene sia un dramma annunciato, i prossimi 60 giorni promettono quindi di essere decisivi per l’integrità di Eurolandia. Malgrado Bruxelles appaia maggiormente preparata rispetto a due anni fa ad affrontare il peggio, nelle sale operative ci si domanda se gli 800 miliardi concentrati nel Fondo Esm saranno realmente sufficienti a evitare il contagio. Le Borse internazionali potrebbero quindi tornare presto a fare i conti con strappi repentini, provocati dal riaccendersi della guerra contro il debito sovrano europeo: malgrado la calma apparente di venerdì scorso, negli ultimi dodici mesi Piazza Affari ha ceduto il 33% e il 7% da gennaio. Non per nulla la casa di rating Fitch ha già lasciato intendere che potrebbe mettere sotto osservazione l’affidabilità del Vecchio continente, con la conseguenza di dare una sforbiciata ai Paesi ritenuti in bilico. Uno scenario molto delicato sia per l’Italia, che da qui a fine anno chiederà al mercato di assorbire circa 140 miliardi di Btp e altre obbligazioni governative per rinfrescare il proprio debito pubblico, sia per altri Stati «periferici». A partire dalla Spagna, che è alle prese con una situazione al limite del collasso per il suo sistema bancario, cui si aggiungono i problemi di Irlanda e Portogallo. A Madrid il rapporto deficit-Pil, senza interventi correttivi, è destinato a restare oltre il 6% nel 2012 e nel 2013.
Il dossier greco e quello spagnolo saranno questa sera sul tavolo dell’Eurogruppo, chiamato a trovare una soluzione per favorire la ripresa dei consumi dopo la conferma dello stato di recessione per l’intero 2012. Molto in realtà, dipende da come si risolverà il dibattito in atto tra i Paesi membri per reinterpretare linea del rigore di bilancio alla luce dell’ascesa dei socialisti in Francia.
Domani sera il neo presidente transalpino, François Hollande, cenerà a Berlino con la cancelliera Angela Merkel: si tratta poco più di un incontro preparatorio, ma lo scontro a distanza è già incominciato. Da un lato il ministro tedesco, il «falco» Wolfgang Schaeuble, ha premesso che il «fiscal compact» non può esser messo in discussione. Dall’altro, l’ala radicale dei socialisti francesi ha replicato che Frau Merkel «non può decidere da sola le sorti dell’Europa». La priorità, secondo Parigi, è «rinegoziare» il trattato europeo pensando al rilancio dell’economia, superando il «rigore» e l’austerity.
A dispetto della sintonia difesa dal governo Sarkozy, Parigi e Berlino non sono insomma più d’accordo quasi su nulla. Ulteriori incognite sono poi rappresentate dalla Slovacchia, dove si è insediato un governo socialista, e dall’Olanda, dove sono previste a breve nuove elezioni: il governo dell’Aia era ancora più intransigente di quello tedesco nel pretendere disciplina e rigore dai Paesi del Sud. Resta quindi da capire come l’Europa calibrerà il rigore fiscale, che Berlino considera una pietra angolare dell’Europa, con la priorità di evitare il collasso della moneta unica: il premier Mario Monti avanzerà la proposta italiana di escludere per tre anni dal patto di bilancio gli investimenti produttivi.
A quel punto resterebbe da ridisegnare anche il vertice del Fondo salva-Stati ora in mano al tedesco Klaus Regling.
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