Facebook è democratico? Sì, come la Corea del Nord...

Il social network chiama a raccolta gli iscritti per decidere le nuove regole. Che, fra trucchi e inganni, è poi una sola: votare per smettere di votare

Le quotazioni di Facebook sul Nasdaq di New York
Le quotazioni di Facebook sul Nasdaq di New York

Non si può votare scheda bianca e nemmeno infilarci dentro una fetta di mortadella e scriverci «e ora mangiatevi pure questa», come nella nota leggenda metropolitana tanto da antica da far sospettare che l'antipolitica sia nata prima della politica. Facebook chiama al voto il suo sterminato popolo, ma dà solo tre possibilità: sì, no o astensione. Sul piatto c'è una modifica della governance di Facebook: volete voi approvare o bocciare la proposta di restringere il diritto di voto sui futuri cambiamenti delle regole? A farla semplice, è come se domani venissimo chiamati alle urne per votare un referendum che cambierà la Costituzione in modo che, se vincono i sì, per i futuri cambiamenti il voto sia sostituito da sondaggi d'opinione e messaggi d'avviso. Votare per rinunciare a votare, insomma. Se ce lo proponesse lo Stato, parleremmo di un tentativo di golpe bianco. Ma il web non doveva essere la madre di tutte le nuove forme di democrazia?
In realtà il meccanismo interpella i fondamenti stessi del meccanismo elettorale in modo ancor più profondo. Sulla carta, il referendum di Facebook è un'operazione democratica di portata pari soltanto alle elezioni in India, la più popolosa democrazia del pianeta. Vengono chiamati a esprimersi un miliardo di iscritti, pur senza pubblicizzare la cosa in modo particolarmente visibile all'utente medio. All'americana: si vota, ma lo Stato non bussa a casa dell'elettore per ricordarglielo (in America sono soprattutto i partiti a impegnarsi per aumentare la partecipazione, superando lo scoglio della registrazione nelle liste elettorali, che è rimessa alla volontà dell'individuo). Il quorum previsto, 300 milioni di votanti, sulla carta è basso: il 30% è molto meno del 50 previsto dai nostri referendum abrogativi. E ci sono pure gli «osservatori internazionali» a garantire la trasparenza della consultazione: vigilerà un ente indipendente. Dunque è il sogno del grillismo realizzato? Al contrario: il voto di Facebook rivela in modo plastico come sul web sia ancor più facile svuotare il gesto elettorale del suo valore democratico.
Innanzitutto, se il quorum non sarà raggiunto, il referendum non sarà vincolante, dunque il «presidente» Zuckerberg deciderà di testa sua. E la decisione di restringere il diritto di voto è maturata proprio perché in una precedente consultazione si erano espressi appena in 300mila, cioè lo 0,03% degli aventi diritto. Come se alle Politiche italiane si presentassero alle urne solo gli abitanti di un condominio (ipotesi che, se lo scenario politico continua così, non è da considerarsi del tutto irrealistica).
Gli snodi cruciali del cyber-voto non sono poi così dissimili da quelli reali: innanzitutto bisognerebbe avere un'idea chiara della proposta politica. E passi che Facebook non organizzi tribune politiche e non vari una legge sulla par condicio, ma fa di peggio: per capire su cosa votare, bisogna leggere due documenti che, sommati, ammontano a poco meno di 20.000 parole: la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo ne conta 1.876, la Magna Charta 4.900, la Costituzione italiana 8.176. I documenti che ci spiegano la politica della privacy e la governance di Facebook sono più prolissi di questi tre capisaldi della vita democratica messi insieme. A questo punto è facile prevedere che, poiché non si può spedire la mortadella via mail, prevalga l'astensione. Eppure ci sono in ballo anche aspetti che hanno provocato una certa mobilitazione nel mondo web, come la possibilità per Facebook di condividere le nostre informazioni personali con altre applicazioni, come Instagram, una rete sociale che permette di condividere fotografie: contro questa possibilità si sono già schierati vari enti per la tutela dei diritti degli internauti.
L'altra possibilità è che una pressante mobilitazione spinga una più larga fetta di utenti di Facebook a votare in massa, ma alla cieca, cioè senza documentarsi davvero. Si dirà che anche nella nella realtà politica non virtuale sono in pochi a votare con cognizione di causa. Vero. Ma almeno piantiamola di sproloquiare di internet come strumento della vera democrazia. Dopo aver votato si possono controllare i risultati parziali.


Io mi sono espresso per il sì alle nuove regole: che Facebook usurpi i miei dati e decida come vuole senza che lo spettro di una finta democrazia si aggiri nel mio computer. Comunque sono in minoranza: i no per ora vincono 160.000 a 19.000. Ma il quorum è lontano quanto la democrazia dalla Corea del Nord.

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