di Antonio Masala*
L'azione politica della Thatcher (...) va incontro a un paradosso. Il suo governo fu infatti estremamente attivo nel cambiare lo stato di cose preesistente, al punto da apparire invadente e quasi rivoluzionario. Il percorso verso il cambiamento dell'economia e dei rapporti tra i diversi attori sociali assunse quasi la forma di una «pianificazione al contrario»: bisognava «costringere» il mercato a funzionare, e poiché le «incrostazioni» erano molte, l'intervento doveva essere forte, e doveva essere fatto dalla politica. Si interveniva per rinvigorire il mercato e lo spirito imprenditoriale, ma lo si faceva con un continuo, ingombrante e pianificato intervento statale. Una posizione questa che poco si addice alla visione conservatrice, secondo la quale si devono evitare i grandi cambiamenti improvvisi e rivoluzionari, ma anche a quella liberale, che vorrebbe il ruolo dello stato il più limitato e meno invasivo possibile (...).
Se una tale contraddizione può apparire rilevante dal punto di vista della teoria politica essa non lo era per la Thatcher, che era un politico e non un teorico. La sua idea era che si dovesse «tornare indietro», ossia si dovesse agire per ripristinare le antiche libertà e le antiche virtù britanniche; in questo senso si dichiarava conservatrice (...).
A suo giudizio le antiche libertà britanniche avevano subito un forte arretramento nei decenni precedenti, e per ristabilirle, la qual cosa significava tornare dal punto di vista giuridico al Rule of Law, da quello economico a uno stato che non gestisce attivamente l'economia e che si limita a fissare le regole e dal punto di vista sociale e culturale ai valori vittoriani, era necessaria una forte azione di governo.
*Docente all'Imt di Lucca
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