La linea dura ha piegato l'Italia è il senso dell'ennesima sberla verbale, che ci assesta il ministro della Difesa indiano, A.K. Antony. In riferimento al caso dei marò, il responsabile politico delle Forze armate indiane ha dichiarato: «La questione è stata risolta, senza molti problemi, con il deciso atteggiamento assunto dalla Corte Suprema e il suo energico intervento». In pratica Antony ha sottolineato che è servito mostrare i muscoli mettendo sotto processo il nostro ambasciatore a Delhi, Daniele Mancini, obbligandolo a non lasciare il Paese.
Il vittorioso annuncio lo ha voluto fare, non a caso, a Trivandrum, la capitale del Kerala, dove Massimiliano Latorre e Salvatore Girone erano stati stati sbattuti in galera per tre mesi. Antony ha iniziato la sua carriera politica nel Kerala, ancora serbatoio di voti, che gli è servito come piattaforma di lancio verso la poltrona di ministro. Da notare che ci ha pure sbeffeggiati sostenendo che l'Italia si è piegata «senza molti problemi». In realtà la Corte suprema è stata potentemente spalleggiata dall'esecutivo centrale, che ha fatto calare le braghe al gabinetto di Mario Monti. «Anche il governo - conferma Antony - ha lavorato sulla stessa lunghezza d'onda ottenendo che i marò tornassero qui per essere sottoposti a processo». Con una stoccata finale il ministro della Difesa indiano ha ricordato che le autorità di New Delhi hanno sostenuto i sentimenti del governo del Kerala, che dal 15 febbraio 2012 accusa i marò di aver ucciso due pescatori indiani. Speriamo che non continui a farlo assecondando la richiesta del governatore locale, che vuole il processo della Corte speciale contro Massimiliano Latorre Salvatore Girone nel suo stato.
Al di là delle dichiarazioni ufficiali in India siamo guardati con sospetto e considerati meno che zero per aver osato minacciare di non far tornare i marò, ma derisi dietro le quinte per il voltafaccia. Sui giornali locali si è parlato di «piccola Italia» che sfida il gigante indiano e alla fine ne esce con la coda fra le gambe.
L'editorialista, Ram Jethmalani, sul Guardian, attacca un'intera paginata scrivendo che il governo indiano avrebbe dovuto rincarare ancora più la dose di fronte «alla perfidia e all'inganno» dell'Italia. Secondo il dotto esperto, l'India avrebbe dovuto «combattere (l'Italia ndr) in ogni forum e rompere immediatamente le relazioni diplomatiche». Il titolo del lungo commento non lascia dubbi: «L'Italia testa la pazienza dell'India». The Asian Age ci considera addirittura al di sotto dello Sri Lanka. In un articolo intitolato «Double standard» si sottolinea che con l'Italia la partita è vinta. Però il giornale si chiede come mai l'India non ha «usato lo stesso zelo» con lo Sri Lanka. La sua Marina militare quattro anni fa ha falciato otto pescatori indiani, ma Colombo non ha calato le braghe. Alla Caporetto asiatica si aggiunge un nuovo fronte, che in questo momento suona come l'ennesima beffa. Otto impiegati indiani della nostra ambasciata a New Delhi hanno presentato una denuncia contro il governo italiano per «discriminazione» basata su razza e nazionalità. Il personale ci accusa di praticare una disparità di salario tra i locali e gli italiani che hanno le stesse mansioni.
Una grana giudiziaria presso all'Alta corte di Delhi, che deve nominare i giudici del tribunale speciale per i marò. Latorre e Girone sono gli unici a venirne fuori a testa alta. Con una faccia terribile ieri Latorre ha detto al Tg1: «Siamo militari, abbiamo le stellette. Sappiamo obbedire, nella buona e nella cattiva sorte».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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