Al mondo non serve un'altra mummiail commento 2

di Gian Micalessin

«Hasta la vista siempre». Anzi eternamente. Il compagno vicepresidente Nicolas Maduro ha deciso. Il Venezuela non si libererà facilmente del comandante Hugo Chavez. Continuerà a farci i conti anche quando quel corpaccione imbalsamato, imbellettato e ricomposto nel cristallo si trasformerà in una memoria anacronistica e imbarazzante. Maduro, da buon e fedele gregario, solo questo sogna. Un'icona imbalsamata alla cui ombra continuare a recitare la liturgia della rivoluzione chaveziana. Ma non durerà a lungo. Spentasi per sempre l'eloquenza retorica e roboante del defunto leader, dissipatasi la fola d'un popolo d'uguali, inariditasi la fonte preziosa dell'oro nero, della rivoluzione chaveziana resterà ben poco. E quella mummia - pianta e venerata oggi da milioni di affranti companeros - diventerà un'icona assai simile a quella di MaoTze Tung, Ho Chi Min e Lenin. Non sarà più, come favoleggia l'orfano Maduro nell'estasi del lutto, un simbolo da adorare, ma un ingombrante impiccio da rimuovere. Esattamente come lo sono i corpi di Mao, Lenin e Ho Chi Min per cinesi, russi e vietnamiti. Corpi sopravvissuti al decadimento, ma privi di significato e spesso assai ingombranti per tre popoli che della rivoluzione primigenia e del suo vate non sanno più che farsene. Per i venezuelani non sarà diverso. Succederà non appena realizzeranno che la compagnia petrolifera di stato, ripulita dei manager migliori per far posto a migliaia di fedelissimi, ma inesperti rivoluzionari, ha dimezzato la produzione. Non appena capiranno che una buona parte del greggio ancora zampillante viene regalato agli amici di Cuba o usato per pagare i 42 miliardi di dollari di debiti contratti con Pechino. Non appena comprenderanno che assieme al petrolio si stanno inaridendo anche i sogni di uguaglianza sociale evocati dal comandante. Certo ci vorrà del tempo, ma alla fine la logica implacabile dei conti e dell'economia avrà la meglio. Ed allora milioni di ex fedelissimi incominceranno a chiedersi se Chavez sia stato un vero comandante o un semplice tiranno con il carisma dell'incantatore. Ma in fondo i Venezuelani sono giustificati. Il bavaglio imposto ai media, la criminalizzazione degli oppositori, la retorica ammaliante di un leader che governava per decreti impediva sicuramente di scorgere il vero volto del caudillo. Lo stupore vero sono gli stranieri che oggi ne seguiranno la bara o continueranno a tesserne le lodi da lontano. Il codazzo hollywodiano dei vari Oliver Stone, Sean Penn e Michael Moore seguaci entusiasti di un nemico giurato della loro America. Ma anche quello nostrano con in testa Nichi Vendola, Paolo Ferrero o il suo predecessore Fausto Bertinotti. Italiani sempre pronti ad inchiodare al muro dell'indignazione chiunque sussurri che forse il fascismo non fu solo male assoluto, ma altrettanto decisi nell'ignorare i rapporti di Amnesty International ed Human Rights Watch sul Venezuela di Hugo Chavez.

Quei rapporti accusavano il caudillo di minacciare sistematicamente i difensori dei diritti umani, di criminalizzare gli oppositori, di governare grazie ad un sistema giudiziario opaco inquinato dagli abusi di magistrati e polizia. Ma poco importava perché, come ripeteva un affascinato Nichi Vendola, «Hugo vince dove Fidel ha fallito».

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