La notizia è arrivata prima che le piazze si riempissero. Nulla si sapeva sulle sorti del deposto presidente egiziano Mohammed Morsi dal 3 luglio, giorno in cui l'esercito ha annunciato l'uscita di scena del rais islamista. Fino a ieri, quando l'agenzia di stampa nazionale egiziana, poche ore prima dell'inizio di enormi manifestazioni antagoniste nelle città del Paese, ha scritto: l'ex presidente è stato posto in custodia cautelare per 15 giorni con l'accusa di avere cospirato con il movimento islamista palestinese Hamas per evadere dal carcere in cui si trovava durante la rivoluzione del 2011. Mohammed Morsi era detenuto in quanto prigioniero politico e leader di quella Fratellanza musulmana che durante il regime di Hosni Mubarak era considerata un'organizzazione fuori legge.
Non è certo casuale il tempismo con cui sono stati rivelati i primi dettagli sulle sorti dell'ex presidente. Centinaia di migliaia di persone sono scese in strada ieri in manifestazioni di segno opposto. A innescare un altro giorno di proteste di massa è stato questa volta il principale protagonista degli eventi del 3 luglio. Il comandante delle Forze armate Abdelfattah Al Sisi ha infatti chiesto mercoledì alla popolazione di riempire le piazze in sostegno dell'esercito nella sua lotta «contro la violenza e il terrorismo». Ha trovato l'appoggio di presidente e premier ad interim e del movimento Tamarrud - ribellione - che a giugno ha portato milioni di persone in strada. E anche se il giorno dopo l'esercito ha precisato di non essersi rivolto a nessun partito in particolare, i Fratelli musulmani hanno visto nelle parole del generale un'accusa diretta. Migliaia di persone ieri hanno riempito ancora una volta la piazza antistante la moschea di Rabaa Al Adawiya, nei sobborghi del Cairo, dove da settimane la Fratellanza mantiene un sit-in e chiede il ritorno dell'ex presidente Mohammed Morsi, presente ovunque alla manifestazione nelle immagini e nei poster che lo ritraggono.
In una dichiarazione, Mohammed El Erian, uno dei leader della Fratellanza, ha detto ieri che alla detenzione del suo presidente il movimento reagisce con «manifestazioni pacifiche». La polarizzazione nel Paese però è ormai troppo acuta per poter parlare di eventi pacifici. In un mese di arresti oltre 200 persone sono rimaste uccise. Anche se ieri a piazza Tahrir - colma - l'atmosfera era festosa e a Rabaa Al Adawiya i sostenitori di Morsi hanno pregato e rotto il digiuno nel terzo venerdì di Ramadan tranquillamente, ci sono stati scontri già dal pomeriggio al Cairo, in alcune città del Delta del Nilo, e ad Alessandria sono stati uccisi almeno due manifestanti, secondo il ministero della Sanità, e ci sarebbero decine di feriti. In un clima di tale tensione, è arrivato dunque inatteso mercoledì l'invito a manifestare del generale Al Sisi. I militari hanno guidato gli eventi innescati dalle manifestazioni di massa di giugno e hanno traghettato prima la deposizione di Morsi, poi l'avvio della transizione politica, ora consegnata nelle mani di un governo civile. Non hanno formalmente il potere politico, ma restano gli attori protagonisti. «Hanno bisogno di un mandato popolare e non hanno un Parlamento: per questo hanno chiesto di manifestare», spiega al Giornale Said Sadek, professore di Scienze politiche all'università americana del Cairo.
La chiamata del generale Al Sisi arriva proprio alla vigilia di una vasta operazione annunciata dall'esercito nel Nord del Sinai. Nella regione, subito dopo la deposizione del presidente Morsi, sono aumentate le azioni di gruppi armati integralisti contro quartier generali della polizia e istituzioni statali. E le violenze aumentano nella capitale. L'esercito vuole irrobustire la propria deterrenza.
Il tentativo dei militari di cementificare il proprio sostegno popolare arriva mentre sul lato politico e giudiziario le autorità egiziane lavorano a indebolire i vertici della Fratellanza musulmana, fino a poche settimane fa al potere.
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