Gli americani «amano la loro storia perché ne hanno poca», si dice a irriderli. Può darsi sia anche per questo, ma soprattutto hanno il culto del loro passato, come tutti i popoli orgogliosi del loro presente e fiduciosi nel loro futuro. Pronti a riesaminare criticamente alcuni episodi (la guerra ai pellirosse, la guerra civile, quella del Vietnam), manifestano nella pietra le loro glorie e nella pietra celebrano con solennità i loro lutti. Basti pensare alla grandiosità, fumettistica, certo, delle quattro grandi teste scolpite sul Monte Rushmore e all'ovazione imperiale del mausoleo a Lincoln. Ma pensiamo anche all'invidiabile idea, non rimasta tale, per cui ogni presidente, alla fine del mandato, istituisce una biblioteca a suo nome, monumento di carta e cemento alla sapienza che magari non hanno avuto finché erano in carica, regalo alle nuove generazioni, strumento di studio e di lavoro, il migliore omaggio che si possa fare alla propria opera, fosse pure per farsi perdonare gli errori.
Di errori ne hanno fatti, gli americani, subendo l'attacco dell'11 settembre. Ma la risposta è stata costruire, insieme al più alto grattacielo che sostituisce le Torri Gemelle, a mo' di sfida, il ricordo dei caduti, per non dimenticare la ferita. «Loro erano chi siamo noi», ha detto il direttore del museo/mausoleo dell'11 settembre, cogliendo alla perfezione il senso di questo e di altri monumenti alla - e della - memoria. Chi ci ha preceduto, soprattutto nei grandi fatti che hanno determinato la storia, è un tassello fondamentale del nostro essere, oggi, come siamo.
Paolo Rossi, in un bellissimo saggio aggiornato nel 2001 (Il passato, la memoria, l'oblio. Otto saggi di storia delle idee, Il Mulino), parte dal principio - ovvio - che ogni individuo, oltre a testimoniare dell'evoluzione storica di una specie, è una testimonianza vivente di quello che gli è accaduto nel corso della vita, e che senza memoria non ci possono essere né futuro né presente: «Riemergere da un passato che è stato cancellato è molto più difficile che ricordare cose dimenticate». Per questo l'uomo fissa i concetti attraverso la potenza delle figure.
Il caso più palese è quello della Shoah. Le vittime che sono riuscite a dimenticare, per quanto possibile, hanno potuto ricrearsi una vita, mentre chi è rimasto ossessionato dal ricordo ha finito per impazzire. Gli stati e i popoli però hanno il dovere di conservare la memoria collettiva, e per questo sono sorti in mezzo mondo monumenti/memoriali dello sterminio, per questo si è fissata la giornata della memoria, «perché non accada più».
La monumentalizzazione della memoria è antichissima, le piramidi non ne sono certo il primo esempio, ma oggi assume sempre di più i contorni della commemorazione di massa: che, pur essendo collettiva, è ormai raramente condivisa. Il caso più clamoroso è quello che riguarda la prima e la seconda guerra mondiale. La memoria della Grande Guerra fu unitariamente rappresentata dal monumento ai caduti che sorse sulle piazze di tutte le città e paesi europei per rappresentare il sentimento, la sofferenza, il trionfo della nazione. In molti stati si elevò un grandioso monumento al milite ignoto, per rappresentarli tutti, da noi lo chiamammo addirittura Altare della Patria. Lo stesso avvenne in Francia, dove fu scelto il corpo di un solo soldato. Non abbiamo, invece, un monumento unitario per i caduti della Seconda guerra mondiale, e in Francia si dovettero scegliere addirittura quindici caduti, perché l'associazione dei resistenti non volle confondersi con i deportati razziali, i quali volevano differenziarsi dai deportati al lavoro forzato ecc.
Le occupazioni, i collaborazionismi, le guerre o guerriglie civili della Seconda guerra mondiale impediscono tuttora un'unica memoria condivisa, e proprio per questo le ferite del conflitto non si sono ancora chiuse del tutto. In Spagna, nel 1940, il caudillo vittorioso Francisco Franco volle onorare i caduti di entrambi gli schieramenti della guerra civile seppellendo quasi 34.000 cadaveri in quell'immenso cimitero che è la Valle dei Caduti, aperto al pubblico nel 1957. Ebbene, le polemiche da allora non sono mai terminate, fra molteplici recriminazioni, fra cui quella che per l'edificazione vennero utilizzati soprattutto prigionieri antifranchisti, un numero imprecisato dei quali morì durante i pericolosi lavori di scavo della roccia. La polemica non si è spenta neanche nel 2007, quando si decise di togliere ogni simbolo politico franchista dalla Valle.
La pugnalata che gli Stati Uniti ricevettero l'11 settembre 2001, invece, colpì allo stesso modo un popolo intero, orgoglioso di sé, della propria potenza e unità. E che per questo si stringerà, fiero, intorno al nuovo memoriale.
@GBGuerri
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