E se la terza guerra mondiale scoppiasse in Estremo Oriente? Per la verità, non sono ancora molti gli osservatori a nutrire questo timore. Ma è un fatto che, negli ultimi due anni, e in particolare dall'avvento al potere in Giappone del governo nazionalista di Shinzo Abe, le tensioni sono cresciute in maniera esponenziale, non soltanto tra Pechino e Tokio, ma anche tra Pechino e Vietnam, Filippine e Malaysia per la sovranità su alcune isole del Mar Cinese meridionale e - paradossalmente - perfino tra Tokio e Seul, entrambi fedeli alleati degli Stati Uniti ma divisi dalla storia. Un termometro inquietante della situazione sono i sentimenti che i popoli coinvolti nutrono l'uno per l'altro: su dieci cinesi, nove hanno una «pessima opinione» del Giappone; e i giapponesi ricambiano con gli interessi, perché diciannove su venti considerano la Cina «una minaccia». La memoria della guerra cino-giapponese, durata dal 1937 al 1945 e costellata da innumerevoli atrocità, affiora continuamente nei discorsi pubblici, nella letteratura, nel cinema e nella Tv.
Entrambi i governi, pur affermando di volere a ogni costo evitare un conflitto, sono in realtà intenti ad alimentarlo: a novembre Abe ha accusato la Cina di «violazione del diritto internazionale, tentando di modificare unilateralmente la situazione in Asia Orientale a proprio favore»; il 26 dicembre, per quanto sconsigliato perfino dai suoi amici americani, ha reso omaggio al sacrario di Yasukuni, in cui riposano 14 personaggi condannati nel '45 per crimini di guerra; durante il recente seminario di Davos, ha paragonato i rapporti tra il suo Paese e la Cina a quelli tra la Germania e la Gran Bretagna nel 1914, cioè alla vigilia della prima guerra mondiale; e intanto porta avanti i suoi progetti di modificare la Costituzione pacifista del 1945 e di rafforzare nei prossimi cinque anni le sue Forze armate, dotandole di un potenziale missilistico e - per la prima volta - di un corpo di marines stile Usa. La Cina ha gettato ancora più benzina sul fuoco. Al centro del confronto, infatti, c'è attualmente la sua rivendicazione della sovranità sulle isole Senkaku (che chiama Diaoyu), un arcipelago a sud di Okinawa completamente disabitato, ma nelle cui acque ci sarebbero importanti giacimenti di petrolio e metano. Per dare maggior forza alle proprie pretese, due mesi fa si è inventata una «zona di identificazione per la difesa aerea» che le include, ma che sia i giapponesi, sia gli americani si sono affrettati a violare (senza conseguenze immediate). In più Abe ha ordinato di modificare i libri di storia perché attribuiscano in modo chiaro le isole al Giappone. Quasi ogni settimana, Pechino provoca Tokio facendo sorvolare le Senkaku dai suoi aerei o violandone le acque territoriali con le sue motovedette, anche se Abe ha dichiarato che un eventuale tentativo di sbarco sarebbe considerato un atto di guerra. Ma, soprattutto, alimenta scientemente l'odio antigiapponese nella popolazione.
Nel solo 2013, le sue tv hanno trasmesso ben 48 serie che rievocano l'invasione della Cina e aizzano la gente alla vendetta, presentando i vicini nipponici come «diavoli da distruggere». Ancora più violenti sono i siti nazionalisti della rete, dove si esorta apertamente a «distruggere i cani giapponesi» o addirittura a «eliminare il popolo giapponese». La settimana scorsa, Pechino ha inaugurato solennemente, nella città di Harbin, un monumento a uno studente coreano sconosciuto ai più che oltre un secolo fa assassinò il governatore giapponese della penisola. Secondo molti osservatori, il nuovo presidente cinese Xi Jinping avrebbe deciso che la sua politica ha bisogno di un nemico esterno e lo avrebbe individuato proprio in Tokio: un vertice con Abe è stato definito «impossibile». L'aspetto assurdo di questa «guerra tiepida» è che Cina e Giappone, rispettivamente seconda e terza economia mondiale, hanno rapporti strettissimi e più che mai bisogno l'una dell'altro.
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