La sfida di Ryan e la dura vita dei vice più potenti del mondo

Con la scelta del giovane deputato Paul Ryan, beniamino dei Tea Party e artefice della controversa risposta repubblicana alla finanziaria democratica, come suo candidato alla vice-presidenza, Mitt Romney ha completato il campo per le elezioni di novembre. Sarà Obama-Biden contro Romney-Ryan, con una differenza: mentre il vecchio Joe Biden, che non si è particolarmente distinto in questi quattro anni, porta poco o nulla in dote al presidente, Ryan potrebbe essere doppiamente prezioso per il suo numero uno: il compito sarà di favorire la conquista del suo Stato, il Wisconsin, che nel 2008 votò per Obama, e soprattutto di acquisire i favori dell'ala più conservatrice del partito, che lo ha sempre guardato con un po' di sospetto. La designazione del vice è prerogativa esclusiva dei candidati presidenziali, ma i criteri seguiti variano molto: alcuni hanno usato la scelta per bilanciare ideologicamente il «ticket» tra destra e sinistra, altri per bilanciarlo geograficamente tra Est e Ovest o tra Nord e Sud.
Ryan, dunque, si candida a occupare la difficile casella di secondo uomo più potente del mondo. Anche se, in teoria, la carica non conferisce grandi poteri: il vice presiede il Senato (e in certi casi il suo voto ha fatto la differenza), ha un suo gabinetto e spesso sostituisce il presidente in missioni all'estero, ma la sua influenza sulle scelte politiche della Casa Bianca dipende soprattutto dal rapporto che ha con il numero uno. Ciò nondimeno - come abbiamo visto l'11 settembre - gode di eccezionali misure di protezione, perché la sua figura diventa cruciale se il presidente in carica muore o è costretto alle dimissioni, come è già accaduto tre volte negli ultimi settant'anni.
La prima fu nel 1945, a pochi giorni dalla fine della seconda guerra mondiale, con la morte di F.D. Roosevelt. A prendere il suo posto fu Harry Truman, semisconosciuto senatore del Missouri, che per prima cosa si trovò a prendere una decisione storica: sganciare o no la bomba atomica sul Giappone. Molti lo sottovalutarono, e pensarono che alla scadenza del mandato gli elettori lo avrebbero mandato a casa: invece, nel 1948 venne confermato e divenne uno dei grandi protagonisti dell'ascesa dell'America alla guida dell'Occidente nella lotta contro il comunismo sovietico.
La seconda successione fu di gran lunga la più drammatica: Lyndon Johnson che, nel novembre del 1963, subentrò a John F.Kennedy dopo l'assassinio di Dallas. Molti ricordano ancora la fotografia che immortala il suo giuramento sull'aereo che riportava la salma del presidente a Washington. Johnson, conservatore texano, aveva idee molto diverse da Jfk e qualcuno lo sospettò perfino di essere stato l'istigatore dell'attentato. Invece, ne seguì fedelmente la politica di apertura sociale e integrazione razziale creando la cosiddetta «Great society», e trasformò il limitato intervento di Kennedy in Vietnam in una guerra vera e propria, che costò all'America più di 50.000 morti e una fase di impopolarità globale. Fu rieletto a valanga nel 1964 e avrebbe potuto fare il bis nel 1968, ma preferì ritirarsi, aprendo così la strada al ritorno di Richard Nixon, che era già stato dal 1952 al 1960 il vice di Eisenhower.
È proprio durante la presidenza Nixon che la figura del vice è venuta maggiormente alla ribalta. Nel suo primo mandato, «Trick Dicky» si prese come numero due Spiro Agnew, un greco-americano già governatore del Maryland, che dopo una serie di gaffes (la più famosa: «Una volta che hai visto un ghetto negro li hai visti tutti») fu costretto alle dimissioni. Nel secondo la scelta cadde su Gerald Ford, leader repubblicano al Congresso, di cui Johnson disse una volta che «non è capace di camminare e masticare gomma allo stesso tempo». Eppure toccò proprio a Ford subentrare a Nixon quando nel 1974 questi fu travolto dallo scandalo del Watergate. Il suo peraltro, fu un regno breve, perché due anni dopo fu battuto dal democratico Carter.
Per molti vice, il quadriennio trascorso nella dépendance della Casa Bianca non ha avuto seguito: è il caso di Quayle, di Gore e ultimamente di Cheney. Per Bush sr, è stato invece il trampolino per conquistare a sua volta la presidenza dopo avere servito per otto anni come numero due di Reagan.

Vedremo che cosa la designazione porterà a Ryan, astro nascente del partito con almeno trent'anni di politica davanti a sé. Se Romney perderà, potrà tentare la scalata in proprio nel 2016; se vincerà, potrà tra quattro o otto anni prendere il suo posto.

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