Uccidono i bambini in nome del Corano

Salvata dai chirurghi la 14enne pachistana che denunciò i talebani. Ma troppi muoiono per mano degli integralisti

Uccidono i bambini in nome del Corano

Malala vive. Ma vivono anche i suoi sicari. I chirurghi ce l'hanno fatta. Son riusciti ad estrarre dal cranio della 14enne ragazzina pakistana quel proiettile di kalashnikov destinato a sopprimere la sua innocente voglia di libertà, a imporre il lugubre silenzio del terrore islamista. Ma sopravvive anche chi la voleva morta. Sopravvive la furia cieca di un islam radicale pronto a massacrare anche i bimbi nel nome del Corano e del Profeta. L'aspetto più agghiacciante del tentato assassinio di Malala Yusafzai è la sua consequenzialità. Il tentativo di eliminare questa ragazzina colpevole d'aver descritto l'opprimente regime imposto ai civili nelle provincie pakistane sotto controllo talebano, è solo l'ennesimo assassinio, o tentato assassinio, ai danni di un fanciullo perpetrato nel nome dell'islam. E la condanna dell'Unicef, per ricordare come nulla giustifichi la violenza contro l'infanzia innocente, servirà a poco.

L'agguato a Malala, colpita assieme a due compagne sedute con lei sullo scuolabus, arriva dopo la decapitazione di un bimbo in Afghanistan. Segue le accuse di blasfemia, un reato punito con la pena capitale, rivolte sempre in Pakistan ad una bimba cristiana. Ci ricorda la spietata esecuzione di un ragazzino e una ragazzina afghani bruciati nell'acido per aver osato amarsi. Tante e tali scelleratezze non sono follie o perversioni individuali. Non sono gesti scomposti messi a segno da menti malate. Sono l'applicazione pratica di un'ideologia religiosa priva di pietà, di un credo senza scale di grigio avvitato in una spirale di violenza che non prevede null'altro se non la difesa dei propri simili e l'odio per tutti gli altri. Pensiamo a Malala. La sua colpa era quella di aver annotato su diario le esecuzioni, le pubbliche flagellazioni, le quotidiane umiliazioni imposte ai civili della valle di Swat nei mesi bui in cui questa località, un tempo paradiso turistico del Pakistan, diventò un feudo delle bande talebane. Quel diario letto dal servizio in lingua urdu della Bbc aveva fatto capire a tanti pakistani la realtà nascosta dietro la propaganda islamista. Ihsanullah Ihsan, portavoce di Tehrik –i-Taliban Pakistan, non s'è fatto scrupolo a rivendicare l'agguato giustificandolo con le visioni anti islamiche di Malala.

Dietro a tanto spregiudicato fanatismo aleggia la stessa logica che ad agosto spinge un imam d'Islamabad ad accusare Rimsha Masih - una bimba cristiana affetta dalla sindrome di Down - di aver bruciato un Corano. Per l'inflessibile legge pakistana sulla blasfemia quelle accuse, completamente false, conducono al patibolo. Rimsha viene liberata solo perché un testimone smaschera la montatura anti cristiana ordita da un religioso musulmano. In Afghanistan l'orrore islamico talebano colpisce con la medesima crudeltà a fine agosto. Un ragazzino di 12 anni, fratello di un poliziotto, viene rapito da un gruppo talebano che ne fa ritrovare cadavere e testa mozzata. Per i portavoce talebani è un avvertimento a chi collabora con le autorità. Atti in linea con la ferocia delle bande qaidiste irachene che trasformano ragazzini in kamikaze.

Ma per il fanatismo musulmano l'uccisione dei bambini non è limitata alla guerra. Anche il mancato rispetto di arcaiche regole sociali può venir punito con la più terribile delle morti. Lo insegna la fine di due ragazzini afghani - 15 anni lui, 12 anni lei - ritrovati a fine marzo in un campo della provincia afgana di Ghazni. I loro corpi erano accanto alla latta di acido usata per bruciarli. Dei loro volti non c'era più nulla.

L'acido aveva divorato la pelle, cancellato naso e labbra. Due maschere d'orrore ridotte così per aver infranto le regole che impedivano loro di amarsi, frequentarsi senza il consenso di famiglie e anziani del villaggio.

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