LEuropa - al solito - era nel caos. Tempeste protestanti si agitavano al nord. LItalia stremata dalle guerre recenti. Neppure Venezia era Serenissima, con quei traffici verso il Nuovo Mondo che crescevano di anno in anno e la sua marina alle prese con il grande nemico. Il Gran Turco, lottomano. Con la caduta di Costantinopoli, nel 1453, Venezia si era ritrovata in prima linea nello scontro con la Sublime Porta che ora, più di un secolo dopo, aveva ripreso a espandersi. Il nemico, e lalleato: come di quella Francia che non esitava a stringere patti esecrandi con gli islamici per contrastare il rivale sul continente, limperatore di Spagna e dei Paesi Bassi Filippo II, erede del mitico Carlo V. E poi cerano quelle guerre civili che sbandieravano la religione come vessillo: tra il 1569 e il 1570 la sola Francia ne vide consumarsi una terza. E la Chiesa? Scossa, scissa, quel che restava della Chiesa cattolica a cercare di dar vita alla Controriforma secondo le linee del recente concilio di Trento.
Tutto era come al solito, dunque: gli europei divisi e il pericolo alle porte, sotto forma di un nemico forte e abbastanza coeso come limpero ottomano retto dal sultano Selim II. Il quale forse non aveva la tempra del padre Solimano il Magnifico e anzi veniva canzonato da qualcuno come el mest, «lubriacone», però aveva un esercito potente e ben comandato. E una flotta gigantesca: nel 1570 Cipro, avamposto della Cristianità nel Mediterraneo, venne investita. La capitale Nicosia cadde in poco tempo e i turchi pensarono che il boccone fosse facile da inghiottire, ma si sbagliavano: a Famagosta il comandante veneziano Marcantonio Bragadin alzò una barriera capace di resistere per un anno alla pressione nemica. Leroico difensore lavrebbe pagata a caro prezzo: quando la piazzaforte venne presa per un inganno del nemico, nellagosto del 1571, gli vennero amputati naso e orecchi mentre davanti a lui i suoi uomini venivano squartati. Lagonia del senatore veneziano non era però terminata: subì umiliazioni dogni sorta sino a essere scuoiato vivo e la sua anima lo lasciò «quando il coltello del boia giunse allombelico». Il comandante musulmano fece poi impagliare quel che ne restava esibendolo come un trofeo dal pennone della sua ammiraglia.
Fu in quel bailamme che qualcuno, in Europa, si decise a fare qualcosa. Fu papa Pio V - solitamente ricordato per aver istituito la congregazione permanente dellIndice dei libri proibiti - il quale promosse una Lega Santa nel maggio del 1571, poco prima della caduta di Famagosta. A rispondere al suo appello furono la Spagna, Venezia, Genova, la Toscana e la Savoia con i cavalieri di Malta. Mancavano forze protestanti ma questo - è chiaro - era un problema geopolitico. Il comando supremo spettò, pur fra contrasti e gelosie, a «don» Giovanni dAustria, figlio naturale di Carlo V. Ai suoi ordini vi erano 207 galee e 6 enormi galeazze (70 metri per 16) per un totale di 1815 cannoni e oltre 84mila uomini. Nel settembre la flotta cristiana diresse verso oriente passando per Corfù. Don Giovanni cercava la flotta nemica per uno scontro decisivo ma non dovette faticare: nei pressi di Lepanto, tra il Peloponneso e la Grecia continentale, era schierata lintera armata navale turca, forte di 222 galee e 60 legni minori - 88mila uomini e 750 bocche da fuoco - al comando di Alì Pascià. Con lui vi era anche un famoso pirata calabrese rinnegato, chiamato volgarmente Uccialli.
«Viste dallalto con gli occhi di un gabbiano le due flotte avevano la forma di una croce e di una mezzaluna. Ma forse si trattò di una coincidenza»: così Arrigo Petacco rivede la famosa battaglia del 7 ottobre 1571 in un nuovo libro (La croce e la mezzaluna. Lepanto 7 ottobre 1571: quando la Cristianità respinse lIslam, Mondadori, pagg. 200, euro 18), che spazia con leggerezza dalle premesse dello scontro alle sue concitate fasi.
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