La fabbrica del romanzo si riempie di operai

Lo ammettono, eccome. Sono gli stessi autori a confermare che il filone neooperaista esiste e sta delineando i suoi connotati guarda caso (ma sarà un caso?) ormai da due anni nella rosa dei favoriti Strega. Certo non sono più i tempi di Volponi, Testori, Parise. Ma nemmeno quelli effimeri del libro da pausa caffé dei primi anni Duemila, in cui a farla da protagonisti non erano le tute blu, ma i colletti bianchi e il management di Massimo Lolli e Walter Fontana o i precari di Andrea Bajani e Giorgio Falco. L’anno scorso il testa a testa al Premio fu tra gli operai che si spezzano la schiena a Piombino nell’Acciaio di Silvia Avallone (Rizzoli) e i manovali che si rompono le braccia nella bonifica del Canale Mussolini di Antonio Pennacchi (Mondadori).

Quest’anno si preannuncia un duello condotto tra gli emigrati pugliesi intossicati dall’amianto del Ternitti di Mario Desiati (Mondadori) e i tessili pratesi stroncati dalla globalizzazione della Storia della mia gente di Edoardo Nesi (Bompiani). Cui, per inciso, Pennacchi ha già passato il testimone: «Vincerà Nesi perché racconta storie vere, il dolore vero, il lavoro, la fabbrica».

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