Faletti non nasconde le ovvietà

Dopo l’increscioso incidente del Neruda apocrifo di Clemente Mastella, sarebbe stato opportuno tenersi alla larga per qualche tempo da un poeta facilmente traducibile, nonché biecamente palatabile come il cileno. Stupisce dunque che Giorgio Faletti se ne sia servito per aprire la sua recente raccolta di racconti, Pochi inutili nascondigli.
Turiamoci il naso, leggiamo le profonde parole del Nobel: «Ed io, minimo essere, ebbro del grande vuoto costellato a somiglianza, a immagine del mistero, mi sentii parte pura dell’abisso, ruotai con le stelle, il mio cuore si sparpagliò nel vento». Disgustoso, vero? Un cuore sparpagliato nel vento, Dio ne scampi... A proposito di vento: cosa fa il vento in un best seller? Ma è ovvio: in un best seller il vento scompiglia i capelli. Nei racconti di Faletti, a pagina 34 li ha già scompigliati tre volte. A quel punto, purtroppo, era tardi per tornare indietro: eravamo sprofondati in un mondo prestabilito dove l’effetto è sempre «devastante», ai precipizi non manca mai l’orlo e le farneticazioni sono necessariamente quelle di una «testa malata». E pensare che la «Piccola prefazione dell’autore» ci aveva illusi di essere di fronte a una specie di aurora perenne: «Se anche vivessi cent’anni, per la mia conformazione mentale ed emotiva non riuscirei mai a smettere di considerare ogni volta come la prima volta. Con la felice, irripetibile ansia della prima volta».
Beato Faletti: perché la nostra conformazione mentale ed emotiva ci garantisce al contrario che se c’è un autore che emana un penetrante odore di ennesimo, è proprio lui. Se almeno fosse horror... e invece sembra il peggio di Sanremo.

«Che ne è della tua bocca, Ivana? Dove sono le notti passate con così tante stelle e così tanta luna...». E poi, trave e pagliuzza, abbiamo la faccia tosta di dire che i cinesi sono tutti uguali. Abbiamo mai gettato un’occhiata ai nostri libri più venduti?

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