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Fano, ragazza di 17 anni rapita dal papà pachistano Posti di blocco e indagini

Almas Mahmood (17 anni) è stata rapita alle 13.30 dal padre Akatar. La ragazza era appena uscita da scuola quando è stata avvicinata e caricata su una station-wagon. Istituiti posti di blocco, ricerche anche fra la comunità degli immigrati

Fano, ragazza di 17 anni 
rapita dal papà pachistano 
Posti di blocco e indagini

Fano - Almas Mahmood, una ragazza di 17 anni, è stata rapita a Fano intorno alle 13.30 dal padre Akatar, un cittadino pakistano. L’uomo era alla guida di una station-wagon (una Daewoo) e si è avvicinato alla figlia dopo l'uscita da scuola e l'ha costretta con la forza a salire sulla vettura, facendo poi perdere le proprie tracce (ma secondo altre ricostruzioni a rapirla potrebbero essere stati in tre).

Il padre, Akatar Mahmood, venditore ambulante residente a Senigallia (Ancona) con la famiglia, ha atteso che la figlia tornasse nella casa famiglia dopo le lezioni presso l’Istituto tecnico commerciale, e, forse con il supporto della moglie (e forse di un'altra persona), l’ha costretta a salire sull’auto familiare. Almas ha gridato, chiesto aiuto, ha cercato di chiamare soccorso con il telefonino cellulare, ma l’apparecchio le è scivolato di mano, e nessuno ha potuto far niente per fermare la fuga della vettura. Dopo una ventina di minuti i responsabili del centro di accoglienza hanno dato l’allarme al 112, e sono scattati posti di blocco e ricerche, per ora senza esito.

L’abitazione della famiglia Mahmood a Senigallia è deserta, e non è escluso che Almas sia stata portata altrove, magari sfruttando il lasso di tempo prima dell’attivazione delle ricerche per imboccare l’A14 e dirigersi lontano. La ragazza era stata affidata dal Tribunale minorile ai Servizi sociali del Comune di Senigallia, e da questi alla onlus fanese, per una situazione di forte disagio familiare, segnata da ripetuti maltrattamenti da parte del padre (anche nei confronti della madre) e da alcuni episodi di violenza. Sembra che l’uomo fosse estremamente rigido nell’educazione della figlia: non voleva che uscisse la sera, non le piacevano le sue amicizie, e in casa aveva creato un vero e proprio clima di terrore. Non è chiaro se anche a motivo dei suoi convincimenti religiosi, o solo per la sua natura violenta e autoritaria. Nell’aprile del 2009 - come preso in visione dal Tribunale dei Minori - la ragazza era finita all’ospedale di Senigallia dopo un pestaggio violento del padre. Motivo: era stata scoperta uscire con dei ragazzi e delle ragazze italiane.

"Siamo molto, molto preoccupati per il rapimento di Almas. Il padre ha più volte picchiato lei e minacciato ripetutamente chiunque tentasse di aiutarla". L’avvocato Monica Clementi, del foro di Ancona, è stata nominata ad aprile tutore di Almas Mahmood, dopo che il Tribunale dei minori aveva sospeso  Akatar dalla patria potestà. Il legale descrive l’ambulante pachistano come un uomo dalla mentalità estremamente chiusa, convinto di essere l’unico ad avere diritto di occuparsi dell’educazione della figlia, e dei due figli più piccoli. "E Almas aveva spiegato chiaramente ai giudici della corte d’Appello di non voler più vivere con la sua famiglia". "Si era inserita bene nella nuova realtà scolastica, con la comunità di accoglienza di Fano stavamo studiando un percorso anche per il futuro: per ottenere una borsa di studio e, al compimento dei 18 anni, il permesso di soggiorno in Italia, grazie ad un lavoro e a una nuova sistemazione abitativa" racconta la Clementi.

Il Tribunale dei minori aveva vietato ad Akatar Mahmood di incontrare la ragazza, che del resto non voleva assolutamente vederlo, ma l’uomo aveva tentato un avvicinamento anche la settimana scorsa, minacciando i Servizi sociali. "Spero che le ricerche siano serrate, con blocchi ai posti di frontiera, nell’ipotesi che l’obiettivo del padre sia riportare Almas in Pakistan, dove vive ancora la nonna".

Il rapimtnot di Almas le vicende di Hina Saleem e di Saana Dafani. Hina Saleem, giovane pachistana che voleva vicere "in modo occidentale", fu sgozzata nell’estate 2006 a Sarezzo (Brescia) nella casa dei genitori. Per quel delitto, il padre Mohamed Saleem è stato condannato a 30 anni di carcere, Mahmood Kalid e Mahmood Zahid, i due cognati della vittima, a 17 anni ciascuno per averlo aiutato ad occultare il cadavere. Saana Dafani, ragazza marocchina di 18 anni, fu uccisa dal padre che non condivideva la sua relazione con un giovane italiano, ferito anche lui dall’uomo. Il delitto avvenne in 15 settembre dello scorso anno a Montereale Valcellina (Pordenone) sulla strada che la giovane coppia stava percorrendo per raggiungere il ristorante del quale l’uomo è socio e nel quale la ragazza lavorava.

Il padre della ragazza è tuttora in attesa di giudizio per omicidio pluriaggravato della figlia e tentativo di omicidio del fidanzato di lei.

 

 
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