Far politica in mutande

Far politica in mutande

«Sono trascorsi 60 anni, abbandonate i cori di guerra». La frase è di sir Peter Torry, ambasciatore inglese a Berlino. I destinatari dell’invito sono i tifosi di sua maestà britannica, già sul punto di fischiettare «The long way to Tipperary» (quando va bene) o di intonare coretti contro i «bastard nazi» (quando va male) in vista dei mondiali in Germania e di trasferte che si preannunciano molto hard. Feluca saggia, sir Peter, che ha aggiunto: «Abbandoniamo vecchi stereotipi e andiamo al mondiale con la mente aperta. I tedeschi sono nostri alleati in Europa e la Germania non è più il Paese caduto sotto la dittatura».
Le parole di pacificazione (anche il ct Sven Goran Eriksson si spese sul tema) appaiono assolutamente anacronistiche per persone normali, ma quanto mai opportune per le anime semplici e le teste talvolta bacate che albergano nelle curve. Il preambolo è utile per capire l’abissale differenza di sensibilità e di rispetto per la storia fra gli anglosassoni e noi. Qui, dove Paolo Di Canio continua a imperversare con il saluto romano e Cristiano Lucarelli muore dalla voglia di imitarlo col pugno chiuso, l’unico problema sembra il negazionismo o il giustificazionismo («Non l’ha fatto» oppure «Cosa volete che sia...»).
Ieri, mentre parlava l’ambasciatore inglese, parlava anche Ignazio La Russa con toni ben diversi: «Ognuno saluti come vuole». Uscita pericolosa, terreno sdrucciolevole, rischio d’incidenti. Ma non solo. Dando la patente a Di Canio (o a Lucarelli, o a Zampagna) si uccide il gesto stesso. Si svilisce tutta la storia (terribile o romantica, feroce o ideale, ovviamente non è questo il punto) che un pugno chiuso o un braccio levato a mano tesa portano dentro di sé.
El Alamein e capo Matapan, Cassino e le fucilazioni di Verona; il treno di Lenin e le purghe staliniane, i fuochi partigiani in Langa e il generale Giap. Storie da brivido, con la colonna sonora. Ebbene, tutto asfaltato da Di Canio e Zampagna, potenza evocativa zero. Tutto ridotto a macchietta da qualche calciatore furbetto, da qualche centinaio di teppisti, da una sterminata serie di politici sempre in campagna elettorale.


Anche per gridare la propria appartenenza alla storia c’è modo e modo. C’è luogo e luogo. Usati come stracci in uno stadio certi simboli fanno solo ridere. Perché fanno ridere coloro che li usano per dare un senso alla loro milionaria esistenza in mutande.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica