Un fascio di note

La musica di destra è come il blues. Un paradosso, ma non troppo. Come gli afroamericani i giovani dell’Msi e delle sue emanazioni hanno subìto violenza, emarginazione e soprattutto segregazione culturale. Non sono martiri, e nessuno dimentica l’acre fumo degli anni di piombo di cui tanti neofascisti sono stati protagonisti, ma spesso hanno reagito all’assedio cercando un’identità comunitaria attraverso la musica, cercando di crearsi un mondo espressivo, attraverso i suoni celtici o il rock, a loro da sempre negato e sottovalutato anche dalla Nuova Destra. Le star del blues come Son House e Charley Patton suonavano in squallide taverne; i ragazzi della «musica alternativa» si esibivano come carbonari, in un clima da coprifuoco e di paura. «Eravamo quelli del ghetto e la nostra era la cultura del ghetto», spiega Marcello De Angelis, militante di Terza Posizione, quotato cantautore e leader della band 270bis (l’articolo del Codice Penale che punisce la costituzione di associazioni sovversive). E anche ora che la Destra è al governo le cose non sono cambiate; anche perché qui si parla di Destra alternativa, o identitaria come si dice oggi. «La Destra ha un rapporto con la cultura irrisolto e non integrato - dice De Angelis -, la gente di Destra nelle istituzioni non vengono dalla marginalità della militanza, ma si sono formati ascoltando Lucio Battisti piuttosto che Leo Valeriano».
E allora il problema arriva da lontano, dal fatidico ’68, quando l’assalto dei missini «doc» alla Facoltà di Lettere a Roma, di fatto segnò l’epurazione dal mondo culturale di gruppi come Primula Goliardica (che faceva capo a Randolfo Pacciardi) e Ordine Umano (formato da ex dirigenti del Fuan come Massimo Brutti, poi passato ai Ds), e di riviste fuori dal coro come L’orologio e La sfida di Giano Accame. Come racconta Ugo Gaudenzi, protagonista dell’epoca: «Seconda Repubblica, che fondai prima di aderire a Primula Goliardica, diceva cose sia di destra che di sinistra. Io univo Nietzsche e Kerouac, gli indipendentisti irlandesi e le Pantere Nere, Malcolm X e Castro, Mao e il Che. Tutti miti che avevano in comune la lotta contro gli imperialismi di qualsiasi colore».
Ecco quindi l’arcipelago - sempre più esteso ma inevitabilmente sommerso - della musica di destra raccontato nel libro Il nostro canto libero (il riferimento a Battisti non è casuale) di Cristina Di Giorgi e Ippolito Edmondo Ferrario, (Castelvecchi, 294 pagg. 22 euro), che narra il gruppo di artisti più alternativo che ci sia... Altro che le band antagoniste che sputano sul sistema poi beccano un contrattone discografico e vanno a Sanremo come Subsonica e Afterhours; altro che i bluesmen che negli anni ’20 hanno fatto numeri da brividi (Bessie Smith, nel ’23 ha venduto un milione di copie con il suo primo singolo). Qui si parla di ottimo artigianato che non riesce (o non vuole) entrare nei circuiti ufficiali. «Tempo fa dei discografici contattarono i 270 bis per andare a Sanremo con Roma LXXVIII E.F. - scrive De Angelis - ma volevano edulcorare il testo. Il loro punto di vista da mercanti puntava alla spendibilità del prodotto. C’era un pubblico di Destra in crescita e affamato di musica. Ma la non andò in porto».
Però i suoni si sono attualizzati senza rinunciare alla tradizione; dalla metà degli anni ’70 anche il rock è entrato nel Dna del movimento con gli Janus fino all’impegno militante di oggi dei tostissimi Zetazeroalfa di Luca Iannone. Con produzione e distribuzione artigianale, i dischi di queste band vendono qualche decina di migliaia di copie ciascuno. Il volume ricorda la gloriosa Compagnia dell’Anello, stranamente apprezzata anche a sinistra, Massimo Morsello, il «De Gregori di destra» che con cd come Canti assassini ha fatto fare un grosso balzo in avanti al cantautorato, gli Amici del Vento, milanesi e prime «star» dei campi Hobbit, e le vicende meno note della pasionaria Andreina Tomada, sfuggita, venendo da una famiglia povera, «alla sinistra di figli di papà con la moto e il portafoglio pieno che compravano a caro prezzo eskimo e jeans finto-consumati» o del sardo Giulio Lorani.


Il tutto alla disperata ricerca di un background culturale - o di una nuova cultura da plasmare - partendo dalle ballate di Leo Valeriano (prototipo dell’artista rivoluzionario che nel 1965 andò a cantare Berlin davanti al muro di Berlino)e dal cabaret di Pingitore, Pippo Franco, Oreste Lionello, Gianna Preda per (ri)costruire un mondo che superi «l’allarme siam fascisti» e quelli che dicono che la musica di Destra è Masini.

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