Roma Sergio Zavoli, Mario Soldati, il maestro Alberto Manzi che fece prendere la licenza elementare a 26 milioni di analfabeti. E poi Enzo Tortora, Nicolò Carosio, Pippo Baudo, Marco Danè, Febo Conti. Se nel 1861 lItalia celebrava lUnità è solo dal 1954, anno di fondazione della Rai, che grazie a questi grossi calibri il Paese inizia a scrollarsi di dosso gli imbarazzi della tradizione contadina, dei dialetti incomprensibili. Tutti, o quasi, a scuola davanti alla tv. Una bella responsabilità e un periodo leggendario ricordato ieri sera a Roma nel corso del convegno moderato da Pietrangelo Buttafuoco «Radio e televisione: parole e immagini che hanno fatto lItalia». Al Tempio di Adriano era presente la storia della nostra televisione: Ettore Bernabei, Gianni Bisiach, Gianni Minoli, Fedele Confalonieri, Gianni Boncompagni e i ministri Maurizio Gasparri e Ignazio La Russa. Racconta Bernabei, direttore Rai dal 1961 al 1974: «La tv ha fatto tanto per lunità e ha creato una nazione moderna. Gli italiani si ritrovarono improvvisamente in casa il giornale, il cinema, il teatro ed era come toccare il cielo con un dito. Cerano ancora troppi analfabeti e limpegno fu totale: educavamo, istruivamo una nazione».
Boncompagni ha un aneddoto ad hoc: «Nel 1960 fui spedito con la radio in Sicilia, regalavamo apparecchi radiofonici ed avevamo linterprete perché quella gente non capiva una parola di italiano...». Rivolto al futuro è invece Minoli, che auspica il ritorno alla qualità: «Con 13 canali cè la possibilità di offrire veramente il massimo, basta volerlo e i finanziamenti dovrebbero essere più mirati a cogliere le radici del Paese».
Per il ministro Gasparri: «In generale, i pregi della nostra tv sono stati maggiori dei difetti, anche se continuano a non piacermi i grandi fratelli e i reality in generale. I fatti mi stanno dando torto. Lofferta dei canali Rai è aumentata da 3 siamo passati a 13, cè tanta cultura e poi lintrattenimento non è mica un reato...».
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