Cardinale Tettamanzi, Caravaggio in questa tavola dipinge il momento della conversione di Saulo. In che modo, secondo lei, lartista è riuscito a esprimere questo fatto straordinario?
«In questo dipinto - risponde larcivescovo di Milano - la luce della Grazia piomba direttamente dal cielo su Saulo, lo disarciona e lo acceca. A dire il vero, quella luce laveva già raggiunto unaltra volta: attraverso gli occhi di Stefano che perdonava i suoi assassini mentre veniva lapidato. Una luce che Saulo, spaventato e adirato, aveva cercato di dimenticare perseguitando ancora più duramente chi si proclamava cristiano».
Ma sulla via di Damasco capita un evento imprevisto...
«Sì, il Signore in persona interpella la sua vita e gliene chiede conto. A questo appello deve rispondere da solo: il soldato che è con lui, infatti, sembra voler intervenire, ma non può aiutarlo. Caravaggio mostra magnificamente questo apparente paradosso: quella stessa luce divina che acceca Saulo apre gli occhi a Paolo. È linizio di una nuova vita, segnata anche dal cambio stesso del nome: come Simone era stato ribattezzato Cefa, Pietro, così il nome regale di Saulo lascia il posto a Paolo, cioè piccolo. Piccolo e a piedi, senza più quel cavallo da cui è stato buttato a terra: eppure Paolo porterà Cristo al mondo, diventando lApostolo delle genti».
Secondo alcuni studiosi, questa prima versione della «Conversione di Saulo» fu rifiutata dai committenti perché Caravaggio avrebbe tratteggiato un Cristo troppo rabbioso nei confronti di Saulo-Paolo. Cardinale, è anche la sua impressione?
«Non entro nel dibattito storico sul rifiuto, ma apprezzo e trovo coerente questa rappresentazione vigorosa dellincontro con il messaggio biblico. Non è semplicemente la luce di Cristo a irrompere su Paolo, ma il suo corpo, la sua umanità. Ed è un irrompere vigoroso e deciso. Il Dio di Israele, il Dio dei cristiani non è una forza impersonale e diffusa e nemmeno unentità filosofica impassibile e perfetta: è il Dio della storia che vi entra con energia, che condivide la passione degli umani, che vibra di rabbia e di tenerezza. È un Dio geloso: ama fino alla gelosia la sua creatura».
Qual è la portata di questo evento culturale per la città?
«Una bella occasione, in particolare per i milanesi, di avvicinarsi a un grande artista come Caravaggio e a una splendida opera solitamente poco accessibile. Ma soprattutto rinsalda, in qualche modo, il legame tra Milano e Michelangelo Merisi. Recentemente proprio presso lArchivio storico diocesano è stato ritrovato latto di battesimo di Caravaggio, che certifica la sua nascita milanese. Proprio a Milano, Caravaggio fece il suo apprendistato nella bottega del Peterzano e, benché giovanissimo, potè cogliere quel clima di straordinaria intensità religiosa creato da san Carlo Borromeo. Milano, poi, conserva in modo stabile due capolavori di Caravaggio: lincantevole Cena di Emmaus, a Brera e, soprattutto, quella mirabile Canestra che fu la gemma più preziosa della collezione darte del cardinale Federico Borromeo, così ricca di significati simbolici, oggi in quella Pinacoteca Ambrosiana fondata dallo stesso arcivescovo».
E il particolare del quadro che più lha colpita? Quale messaggio oggi per Milano da questa opera di Caravaggio, da San Paolo?
«Mi ha colpito il movimento impetuoso che lo attraversa dallalto verso il basso. Caravaggio, così mi sembra, rappresenta lirrompere della Grazia nella storia di un uomo: Paolo di Tarso. Ci sono dei momenti in cui Dio realmente entra nella storia, dispiega la sua forza, abbaglia con la sua presenza. Ancora oggi Dio non smette di irrompere con forza nella storia e nella vita degli uomini. A volte in maniera folgorante e puntuale come per San Paolo, normalmente attraverso cammini misteriosi e pazienti nascosti nella vita ordinaria.
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