A forza di premiare fisico e tattica si punisce il talento

Il fallimento dell’Italia non è solo di Lippi e dei giocatori perché coinvolge tutto un sistema decadente o comunque in ritardo su altri modelli europei. Si poteva fare di più, tutti d’accordo. Ma esistono problemi a monte da prendere in considerazione e risolvere. Al tempo dell’eliminazione inglese ad opera della Corea, il sempiterno on. Andreotti indusse la Federcalcio a chiudere le frontiere. Era il 1966. Nel 1974, altro anno nero della storia azzurra, erano già chiuse. Il problema adesso non si pone, lo vietano le leggi dell’Unione Europea di cui il nostro stato fa parte. A Blatter non riesce neppure di portare avanti la proposta di far giocare in ogni squadra almeno sei giocatori nati o cresciuti nel paese d’origine. Impossibile alzare l’asticella su questo argomento. Mettiamoci il cuore in pace e pensiamo a risolvere la crisi. Mancano i buoni giocatori per il pessimo lavoro che si fa nei settori giovanili dove gli allenatori, a forza di privilegiare la fisicità e la tattica, non lavorano abbastanza sui fondamentali e danno poco spazio ai ragazzi di talento. Come se il talento fosse un optional di scarso valore. A tutti i livelli ci confrontiamo con errori banali di stop, palleggio, tiro. Su questi temi la Federazione è colpevole. Coverciano deve tornare a essere l’università del calcio, non solo un hotel in cui ospitare i giocatori in ritiro. Basta volerlo. Gli uomini non mancano, a cominciare da Paolo Piani stimatissimo a livello internazionale. L’arrivo di Prandelli alla guida della nazionale maggiore (io lo metterei a capo di tutto il settore azzurro) arriva a proposito perché abita a Firenze e di Coverciano farà il suo quotidiano punto di riferimento.
La Germania è avanti anni luce. E per anni non avrà problemi di ricambi. A livello giovanile ha vinto tutto in Europa con le nazionali under 17, 19 e 21. Formidabili. E nessuno ha storto il naso se i tecnici, guidati dall’ex interista Sammer, prossimo ct della nazionale maggiore, convocano e utilizzano tutti i buoni calciatori che vivono nel loro paese. Indipendentemente dall’origine e dall’etnia. Basta che siano residenti in un qualsiasi “lander”. Noi italiani, invece, facciamo gli schizzinosi di fronte a un giocatore dalla pelle meno che bianca. Oppure ci chiediamo se sia giusto o meno convocare in nazionale calciatori dal doppio passaporto come Amauri e Thiago Motta, quest’ultimo utilissimo in un settore ai minimi termini. L’atletica ha gioito dei successi di Fiona Mey, nella canoa Josefa Idem è un’icona. Il calcio è retrogrado per mancanza di cultura.

Invece d’invocare la chiusura delle frontiere, dovremmo aumentare l’integrazione a ogni livello, non soltanto nei lavori più umili e rischiosi. Ben vengano i Balotelli. È l’evoluzione della società civile che non può continuare a ragionare in termini anacronistici. Non siamo in ritardo solo con la Germania, ma anche con l’Inghilterra e la Francia.

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