Venticinque morti in due giorni, sei solo ieri. Gaza ormai è un campo di battaglia, il mattatoio di quella guerra civile tra fondamentalisti di Hamas e miliziani di Fatah che nessuno più sembra in grado di fermare. Il cessate il fuoco concordato venerdì sera da rappresentanti di Fatah ed Hamas nel corso di un incontro con il ministero degli interni fondamentalista Said Siyam è rimasto lettera morta.
Si combatte ovunque. Attorno alluniversità Islamica, caposaldo delle giovani leve di Hamas, attorno alle residenza presidenziale del presidente Mahmoud Abbas e a quelle dei principali responsabili della sicurezza a lui fedeli. Nei quartieri circostanti lUniversità islamica, a poca distanza dal centro di Gaza City, si sono affrontati per diverse ore gruppi di miliziani armati di kalashnikov e lanciagranate anticarro. Alla fine - dopo aver portato allospedale diversi feriti - le ambulanze parcheggiate intorno alla zona dei combattimenti hanno caricato due cadaveri. Prima dellalba erano invece ripresi i violentissimi scontri intorno allabitazione di Rashid Abu Shbak, il capo di quella sicurezza preventiva, considerata una delle milizie più fedeli al presidente Abbas e più odiate dai militanti di Hamas. Venerdì negli scontri intorno al palazzo di Shbak erano stati uccisi sei militanti di Hamas. Un altro ferito è deceduto ieri.
La battaglia era stata innescata, giovedì notte, dallassalto di alcuni miliziani della sicurezza preventiva ad una moschea, seguito dalluccisione di un militante fondamentalista catturato allinterno. Gli altri tre caduti di ieri sono stati raccolti nel sobborgo di Tal al Howa e nel campo profughi di Sudeniya. In questa carneficina senza quartiere è difficile dire chi stia avendo la meglio. Di certo le celebrazioni di Hamas per il primo anniversario della vittoria elettorale non sembrano coincidere con un trionfo militare sugli avversari. Gli scontri, per quanto intensissimi e combattuti senza risparmio di uomini, armi e mezzi, non lasciano intravedere alcun vincitore. Evidentemente gli sforzi americani per rafforzare le milizie di Abbas e i soldi profusi dal presidente per trasferire armi e personale addestrato a Gaza stanno dando i suoi frutti. Nonostante lampio seguito popolare nella Striscia, i gruppi armati fondamentalisti non riescono dunque ad aver la meglio sulle milizie di Fatah.
In questa situazione di sanguinoso stallo lunico vero risultato della carneficina sembra, per ora, il rinvio di qualsiasi possibilità di accordo. La dirigenza fondamentalista ha già fatto sapere di aver definitivamente archiviato tutti i negoziati per la formazione di un governo di unità nazionale. «Dopo lorribile massacro di Gaza abbiamo deciso di rimandare tutti i colloqui», ha detto il portavoce di Hamas Ismail Radwan. Comunicati dello stesso tono sono stati diffusi anche da Fatah. Il primo ministro di Hamas, Ismail Haniyeh, pur invocando la calma ha duramente criticato il presidente Abbas attaccando «i provocatori che stanno cercando di spingere il nostro popolo fuori dal suo cammino grazie ai soldi sporchi e alle armi ricevute dagli americani».
Le parole del premier fondamentalista sono un chiaro riferimento agli oltre ottanta milioni di dollari messi recentemente a disposizione da Washington per migliorare laddestramento e larmamento dei miliziani di Fatah. Da parte sua il presidente palestinese continua a ripetere di voler convocare elezioni anticipate se non si raggiungerà, entro tre settimane, un accordo per la formazione di un governo provvisorio. Considerato che quellaccordo, già discusso inutilmente a Damasco e dal capo in esilio di Hamas, Khaled Meshaal, e dallo stesso Abbas, sembra ormai pura utopia, vien da chiedersi come il presidente pensi, in questa situazione, di poter svolgere una consultazione elettorale.
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