La generazione 3D stregata dagli alieni blu

Milano«Io ti vedo». Sul pianeta di Pandora per dichiarare la massima stima verso chi ti sta di fronte si ricorre a questa espressione. Qualcosa di simile a «mi piaci un frego». E per vedere - armati di pregiudizio favorevole e tanta curiosità - si sono presentati alla proiezione in anteprima di giovedì a mezzanotte i primi spettatori d’Italia di Avatar, il kolossal futuristico al quale James Cameron ha pensato per quindici anni. Era infatti il 1994 quando, a sentire il regista di Titanic, tutto era bello che pronto nella sua testa. Si trattava di aspettare che la magia digitale raggiungesse le capacità richieste dalle sue «visioni». Insomma, Avatar è stato strombazzato come «il film che cambierà la storia del cinema», e dunque non c’è da stupirsi che uno zoccolo duro di spettatori abbia sfidato le insidie di una notte feriale, e il rischio di non sentire la sveglia il mattino successivo (il film terminava alle 2.50). Difficile giustificarsi col capo ufficio dicendo: mi scusi il ritardo, ma sono stato sul pianeta Pandora. Eppure, al Multisala Uci Bicocca di Milano - una delle migliori sale cittadine dove poter vedere il film girato in 3D e tecnica motion capture da Cameron - i «duri e puri» di Avatar si sono presentati già un’ora buona prima della proiezione. Identikit: gruppi da sei-otto persone, sesso misto (qualche maschio in più), età dai ventincinque ai quaranta. Sorrisi ottimisti, occhialini speciali regalati all’ingresso e la sorpresa di un premio fedeltà: un poster del film per ogni biglietto strappato. Le mezze frasi prima della proiezione sono relative al trailer: il pubblico maschile vi ha visto una bella promessa di effetti speciali e avventura (il film di Cameron è costato 300 milioni di dollari, più 150 di sola pubblicità), quello femminile al pacchetto di cui sopra aggiunge la speranza per una bella storia d’amore tra il protagonista, un marine yankee votato al riscatto esistenziale, e la sinuosa aliena Neytiri. «Sono qui per gli effetti speciali - spiega Simone, 27 anni, informatico -. Mi incuriosisce che Cameron non ha aggiunto i trucchi digitali in post-produzione ma durante le riprese del film. I dibattiti sui giornali? Ho letto qualcosa: il film razzista, o ecologista o addirittura pagano. Menate da critici e giornalisti, forse anche trucchi di marketing. La gente che viene a vedere Avatar vuole solo divertirsi». Stessa musica per l’amico Davide, 25 anni, impiegato in una celebre catena di negozi home video: «Amo il cinema con effetti speciali, e adoro il fantasy. Altri titoli in 3D mi hanno lasciato indifferente, vediamo se questo mi stupisce...». Federica, segretaria di 27 anni, ha seguito gli amici «perché non ho mai visto un film in 3D», mentre Giuseppe, informatico di 35 anni è «curioso di vedere come Cameron abbia dato forma a un mondo totalmente differente dal nostro. Ho letto che alcuni spettatori in America sono caduti in depressione perché non sopportavano di tornare nel mondo reale dopo la visione. Esagerati». Quando le luci si spengono, il silenzio si fa religioso. Qualche mormorio emerge all’irrompere sullo schermo della fitta vegetazione che fa da habitat alla storia: la giungla in cui si muovono i nativi Na’vi sembra realmente allungare le proprie braccia su chi siede in sala. Dopo un’ora e mezza, qualche voce disattenta si mette a commentare: al di là del forte impatto visivo, la storia non è certo rivoluzionaria, un mix di ecologismo new age, mito del buon selvaggio, terrestri cattivi rigorosamente bianchi e wasp.

Ai titoli di coda, applauso spontaneo ma breve: la sensazione è che il pubblico di oggi sia ormai scafato, già abituato alla moda 3D, in definitiva affascinato dagli effetti speciali ma assetato di ciò che resta la prima missione del cinema: regalare una storia che avvinca. E quella non la compri col budget stellare. «Mi è sembrato un Independence Day più ricco», si lascia scappare un ragazzo uscendo dalla sala. Se lo sentisse Cameron...

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