Il genio che odiava i «pagliacci»

Poco dopo la morte di Chaplin una contadina del Sud, intervistata dalla televisione disse: «Charlot? Era uno capace di far piangere per le cose di cui di solito si ride e ridere per quelle che invece fanno piangere. Uno che parlava di noi, perché era uno di noi». Ma chi era davvero, al di là della sua celeberrima maschera Charlot, il londinese sbarcato in America per sfuggire alla miseria, pieno di fantasticherie sul West e la frontiera? Si sa molto del suo personaggio e della sua turbolenta vita privata, ma pochi conoscono il Chaplin attore che passeggia fra la gente per incontrare l’ispirazione, il Chaplin regista capace di arrovellarsi per giorni su una scena, l’uomo colto che fa navigare le sue idee tra arte, letteratura e politica, il genio del cinema, paradossalmente troppo poco conosciuto, che traveste e trasforma le proprie debolezze. Charlie Chaplin. Opinioni di un vagabondo (minimumfax, pagine 250, euro 14, prefazione di Dario Fo) riunisce le rare interviste che il Cavaliere della regina Elisabetta ha rilasciato nel corso della sua ultrasessantennale carriera. Ed è così che si scopre la sua sintonia con quanto aveva detto, semplicemente, la contadina del Sud. Nei primi di marzo del 1967, pochi giorni prima che a New York debuttasse il suo film La contessa di Hong Kong, Chaplin aveva detto: «L’elemento base della comicità è far apparire ragionevole ciò che in realtà è irragionevole. E se si riesce a metterlo in scena in maniera abbastanza intensa, il pubblico lo adora». Dal lato opposto della sua carriera, quello ascendente, troviamo invece un Chaplin che al massimo della sua popolarità, è il 1920, sembra stufo delle sue pagliacciate («io detesto la parola “pagliaccio”, perché non sono un pagliaccio») e delle buffonate, tragiche, degli uomini. Allora pensa d’interpretare Amleto e all’intervistatore racconta: «Preferisco immaginarmi il genere umano come la malavita degli dei. Quando gli dei vogliono farsi un giro nei bassifondi, vengono a visitare la terra. Capisce, non nutro il massimo rispetto per il genere umano».

Da un’altra prospettiva, ci si può addentrare nel mondo di Charlot attraverso le belle pagine del volume Chaplin e l’immagine, catalogo dell’omonima mostra ospitata quest’anno dalla Cineteca di Bologna (www.cinetecadibologna.it). Che a Natale propone al Cinema Lumière tre sue grandi comiche in lingua originale: A dog’s lifè (1918), The rink (1916) e The champion (1915).

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