Cronache

Genova mette in banca i medici che lavorano per l’Africa

Un ponte virtuale che collega la domanda e l'offerta di solidarietà, mettendo in contatto medici e organizzazioni non governative che operano in ogni parte del mondo. Un progetto unico in Italia, di conio tutto genovese, che mira a organizzare, e razionalizzare, gli aiuti umanitari nelle aree in via di sviluppo, evitando dispersioni e inutili sovrapposizioni. Sono queste le basi su cui poggia il «Registro nazionale dei medici volontari nei paesi emergenti», il database informatico presentato alla Farnesina al ministro degli Affari Esteri, Franco Frattini.
L'idea è venuta ai soci fondatori di «Medici in Africa», una Onlus costituita nel maggio dello scorso anno nel capoluogo ligure. «Ci siamo accorti che in questo settore c'è molto entusiasmo, voglia di spendersi in prima persona, ma anche parecchia confusione. Chi vuole partire non sa come fare, quando farlo, dove andare e tantomeno che tipo di situazione si troverà di fronte», spiega il presidente Edoardo Berti Riboli, direttore del dipartimento di discipline chirurgiche dell'università di Genova. Di qui l'intuizione, semplice ma efficace, di mettere ordine, di creare una serie di criteri all'interno di uno schema fisso, facile da consultare per chiunque.
Il web ha dato la mano decisiva: già oggi, collegandosi al sito dell'associazione (www.mediciinafrica.it), sia gli operatori sanitari sia le ong possono iscriversi compilando due distinti formulari. I primi, oltre ai dati personali, indicano le lingue conosciute, la specializzazione e la disponibilità a soggiornare all'estero; le seconde, invece, elencano i progetti di collaborazione in atto, di quali figure c’è bisogno e che tipo di attrezzature possono mettere a disposizione sul posto. «Crediamo che, alla lunga, il database diventerà uno strumento di fondamentale importanza - aggiunge Berti Riboli - visto che realtà diverse richiedono caratteristiche professionali ben distinte». Approfondisce il concetto Alberto Hesse del dipartimento universitario di neuroscienze, oftalmologia e genetica: «Cerchiamo - afferma - di indirizzare la specialità in base all'esigenza. Sono 18 anni che tutti noi andiamo in Africa, Sudamerica o Asia, e spesso abbiamo notato difetti di comunicazione e doppioni sul posto, che sarebbero evitabilissimi se i soggetti coinvolti si parlassero. In più, ricordo che in Italia si muovono ogni anno tremila operatori sanitari. Canalizzare questi flussi sarebbe auspicabile». Non a caso il ministro Frattini ha espresso il suo apprezzamento per l'iniziativa, definendola «utile per tutta l'amministrazione». E il suo intento è quello di mettere il registro a disposizione di ambasciate e consolati, che spesso avanzano richieste di personale umanitario, ma non trovano un referente adatto a cui rivolgersi né per la cooperazione allo sviluppo, né quando si tratta di gestire le emergenze in tempo di guerra. Ulteriore punto di merito è che il software gestionale è stato realizzato in seno all'ateneo, quindi senza ricorrere al denaro pubblico, dal dipartimento di informatica, sistemistica e telematica. «Abbiamo anche pensato ad arricchirlo con un meccanismo di feedback - chiarisce uno degli ingegneri, Paolo Vernazza - di modo che, una volta tornato in Italia, ogni medico possa raccontare la sua esperienza e le eventuali difficoltà riscontrate. Per esempio se gli avevano promesso una sala operatoria e invece non c'era. Alla lunga diventa possibile effettuare una selezione ed evitare di inviare volontari dove mancano i requisiti minimi».


Perché, è bene ricordarlo, chi parte è di regola un professionista affermato, che decide di impiegare le proprie ferie per portare conforto a chi soffre a migliaia di chilometri di distanza.

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