Ma intanto i robot genovesi conquistano il mondo

(...) magari non proprio così Magnifico nell'occasione, Giacomo Deferrari, a dire di no al trasferimento della facoltà di Ingegneria sulla collina sopra Sestri. Comprendo alla perfezione - soprattutto dopo le docce fredde degli anni scorsi e le voragini economiche lasciate da operazioni come il recupero dell'Albergo dei Poveri di Castelletto per la sede di scienze politiche - che si proceda con i piedi di piombo, attentissimi a non rischiare nuovi dissesti finanziari per le casse dell'ateneo. Insomma, penso che per l'università sia un valore aggiunto avere amministratori che non sperperano il denaro e che stanno attentissimi al futuro, come facciamo noi quando evitiamo di spendere a fine mese più di quanto portiamo a casa. Ma ci sono momenti in cui il cuore viene persino prima dei conti. E questo poteva essere uno di quei momenti. Perchè dal Polo di Erzelli potrebbe nascere il futuro di Genova e della Liguria, considerando che l'alta tecnologia è l'elemento di eccellenza che caratterizza nel mondo la nostra città e la nostra regione.
Così come è un elemento di eccellenza il «Polo della Robotica», qualcosa che ci invidiano da tutta Italia e da tutto il mondo. Ma che, come spesso accade a Genova e in Liguria (e in Italia in generale, ma questo è un altro problema), quando c'è qualcosa che ci invidiano in Italia e nel mondo, non se ne parla. O, peggio, si nasconde in ogni modo, non si sa mai che qualcuno ne parli. Molto meglio dare spazio ai soliti imprenditori, sempre gli stessi, sempre quelli che rischiano poco o nulla, il cui massimo spirito imprenditoriale è quello di sollecitare questa o quella delibera in commissione consiliare. E invece, nel nostro viaggio alla ricerca delle eccellenze liguri poco conosciute - dopo la Ecomission di Walter Pilloni, l'imprenditore che ha riportato la produzione dalla Cina a Sestri Ponente, e la Filippa dei fratelli Vaccari a Cairo Montenotte, la discarica talmente ecologica da ospitare pic nic e piscine - tocca al caso del gruppo di David Corsini e Ico Vivado.
Ecco, Corsini e Vivado sono una specia di versione al pesto di Bill Gates e Steve Jobs. Molto umili e un po' geniali come sanno esserlo coloro che hanno a che fare con la tecnologia e i robottini. A me, vedere alcune delle loro produzioni fa venire in mente il meccano di una volta, ma basta sfogliare una rivista specialistica internazionale per capire che siamo nell'alto dei cieli della robotica.
E la bellezza della storia sta nel fatto che si parla di un'impresa nata quasi artigianalmente, quasi in cantina, e diventata un po' alla volta un colosso. Una storia che ricorda, in qualche modo, la stanzetta in cui nacque la Apple di Steve Jobs o, per restare alle nostre latitudini, riporta al torrido garage di Gambettola, a due passi da Cesena, dove Nerio Alessandri studiò le prime macchine per il fitness di Tecnogym, che poi hanno conquistato il mondo. Una storia che sa di favola, su cui torneremo.
E così, partendo da zero, con la forza delle idee, e anche con la collaborazione di nomi storici dell'imprenditoria genovese come Paolo Odone e Paolo Corradi, David e Ico - due che hanno anche il nome da cartoni animati e che sono come quei folletti benefici che si incontrano nei boschi più fatati - hanno messo in piedi una holding che ha un giro di affari di quasi cento milioni di euro con seicento addetti sparsi per gli stabilimenti di Genova e Torino che si occupano di progettazione; quelli di Alessandria e Caserta per l'automazione industriale; quelli di Latina, di Battipaglia e ancora di Genova, stavolta a Campi, dov'è il quartier generale per telecomunicazioni e biomedicale. Il gioiellino, in particolare, è quello di Battipaglia, acquisito dalla multinazionale francese Alcatel-Lucent.
Quando i «genovesi» sono arrivati li guardavano con sospetto. Ora li amano, non fosse altro perchè non hanno mai mandato via gli interinali, aumentando anzi l'occupazione.
Ribadisco: siamo di fronte a un piccolo-grande miracolo italiano. La storia di un gruppo che fa il novanta per cento del fatturato all'estero e che vende i suoi prodotti in Canada, in Brasile, in Turchia, in Polonia, in Slovacchia, in Messico, in Russia e nel Congo Brazaville, il cui governo ha firmato un solenne protocollo di intesa con gli imprenditori genovesi. E, in fondo, il punto sta tutto lì: nel fatto che Ico e David, nonostante il Congo Brazaville e tutto il resto, e nonostante abbiano stabilimenti in tutta Italia e joint-venture in tutto il mondo, non rinunciano a un filo della loro ligusticità e della loro genovesità. In una parola, della loro identità.


Insomma, questa è la storia di imprenditori che hanno ancora il gusto di fare impresa, di uomini che, come tanti altri, sono la spina dorsale, il cuore e l'anima del nostro Paese. Poi, certo, è molto più facile occuparsi di un'unghia incarnita che del cuore e dell'anima e dire che va tutto male, che è tutto sbagliato e che è tutto da rifare. Ma è una strada a fondo chiuso.
(3-continua)

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