(...) Molti allenatori dicono che i moduli non esistono, ma poi hanno disposizioni sempre ripetitive.
«Io preferisco allenare per concetti. Per me il calcio è occupazione degli spazi. È capacità di eseguire le giocate giuste in base agli spazi. I miei giocatori devono sapere quando forzare una giocata e quando no in base agli spazi e ai tempi che ti lascia l'avversario».
Cioè, giochi come il Barcellona?
«Se rispondessi di sì sarei presuntuoso. Ma la domanda mi fa piacere. Significa che è stato capito il concetto che voglio esprimere. Perché i principi degli allenamenti partono dallo stesso modo di concepire il calcio che è proprio del Barcellona. Loro sono fortissimi nella tattica individuale, sono allenati per avere sempre 5 più 2 modi di battere gli avversari. Sono insuperabili nel recupero palla. Quando la perdono passano 2 o 3 secondi prima che la riprendano».
Cosa hai chiesto a Spinelli quando ti ha ingaggiato?
«Alla società, al direttore Perotti che avevo conosciuto e stimato da tempo, ho chiesto di mantenere gli stessi giocatori che si erano salvati l'anno scorso proprio grazie a Perotti. Quel gruppo e la sua coesione erano i punti che mi potevano permettere di sviluppare i miei concetti. Finora ho perso solo Knezevic ma sono arrivati Emerson e un giovane».
E la società cosa ti ha chiesto?
«Una salvezza tranquilla, magari anticipata, e di valorizzare i giovani».
La partenza sembra andare oltre.
«Non so dove arriveremo. Le ambizioni sono sempre dietro l'angolo».
Cosa vuoi diventare?
«Non dico un grande allenatore, la presunzione non mi piace. Vorrei essere un bravissimo allenatore per potermi ritenere credibile nelle analisi che faccio con me stesso, sulle mie idee di calcio».
Sogni di tornare a Genova?
«Sono legatissimo in tutto a Genova. Ci ho vissuto 10 anni, ci sono cresciuto calcisticamente, mia moglie è genovese e genoana di famiglia. E poi certi valori, la passione che c'è nei tifosi sono cose che mi hanno inculcato fin da piccolo».
Quindi Genoa... Oppure?
«Oltre al Genoa, la squadra della mia città, il Torino, per la quale ho avuto simpatia sin da piccolo e ho avuto la fortuna di giocare. Genoa e Toro hanno per storia e passione dell'ambiente, il mio stesso modo di intendere il calcio. E sono due squadre che chiunque vorrebbe allenare. Ma ora sono a Livorno, altra realtà molto simile, con alti e bassi e tanta passione».
Ai tifosi del Genoa avevi «presentato» tuo figlio Alessandro appena superati i problemi avuti alla nascita.
«Ancora una volta il popolo genoano aveva dimostrato di apprezzare la lealtà di una persona. Mi aveva confermato il trasporto, la passione vera e umana. Porto in me ricordi indelebili del Genoa, come la partita per Signorini e proprio l'affetto dimostrato al mio Alessandro. Al di là dei soldi, nel calcio ci sono un piacere e delle motivazioni che solo la gente può dare».
Passione ce n'è. A volte anche troppa.
«Pazienza se tanta passione può portare in cambio anche aspetti negativi. Ma solo questa relazione può dare un valore aggiunto nel calcio».
Con il professor Scoglio avevi avuto qualche problema?
«Il Prof mi ha sempre incuriosito. Ha portato nel calcio concetti nuovi, qualcuno lo applico anch'io. Era un allenatore che aveva la capacità di entrare in sintonia con chi lavorava con lui e con l'ambiente che rappresentava. È stato uno dei pochi capaci di rappresentare il popolo genoano e per questo lo rispetto molto».
Ma...?
«Dal punto di vista umano a me è sempre piaciuta la lealtà. Una delle due cose sulle quali baso anche il mio lavoro è quella di far sentire tutti importanti, in particolare per la gestione del gruppo. Soprattutto il secondo anno il Prof ha avuto il problema di gestire 36 giocatori e anche a livello societario si poteva fare meglio. Qualche problema è derivato da lì».
Oggi Spezia-Verona. Sfida per la A?
«Hanno entrambe mezzi economici forti (lo Spezia anche di più) e squadre importanti. Il Verona ha un assetto forte di squadra, con un bravo tecnico, con esperienza. Lo Spezia, pur cambiando molto, ha dimostrato idee chiare, un altro grandissimo pubblico e una società ambiziosa che rasenta la perfezione».
E il Livorno?
«Il nostro obiettivo è riappropriarci del nostro senso di appartenenza alla maglia, alla città, ai tifosi. Dobbiamo sempre gettare il cuore oltre l'ostacolo. Il nostro massimo lo scopriremo strada facendo».
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