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Quando Genova insegnava al mondo l'arte del cioccolato

Quando Genova insegnava al mondo l'arte del cioccolato

Ci sono le fantasie fondenti e quelle al latte, i cioccolatini aromatizzati allo zenzero e alla cannella, al peperoncino o all'anice stellato, e a tanti altri gusti speziati. Te li trovi subito davanti agli occhi - tentazione irresistibile! - appena varcata la soglia, un po' a fatica, come se fossimo in miniera, in una grotta ipogea, o in una stanza angusta eppure accogliente, ammaliante, seducente, diciamo pure sensuale, sì, diciamolo che è vero. Via libera alle immagini: miniera d'oro, grotta delle delizie, stanza del piacere. E non pare un caso, una fortuita coincidenza, che qualcuno abbia sistemato a due passi da qui, dalla «Romeo Viganotti, fabbrica cioccolato dal 1866», in vico dei Castagna, un luogo di piacere d'altro genere, immortalato da Gino Paoli: «Il casino Castagna era il mio preferito. C'era gente simpatica, giocavo a scacchi con le ragazze... Qui è nato Il cielo in una stanza. Oggi, dell'omonimo postribolo resta solo la porta. In compenso, lì accanto c'è la migliore cioccolata d'Europa». Arduo contestare il giudizio. Non sul casino Castagna, s'intende, ma sulla «migliore cioccolata d'Europa». Certo, si tratta di un'iperbole, e non è il caso di fare classifiche, soprattutto dopo che si è fatto visita, tanto per gradire, a Zuccotti in Santa Zita, Romanengo in Soziglia o Buffa in via Fiasella. Ognuno dei quali ha una produzione di eccellenza e di stampo personalissimo, degna eredità di quando Genova, fine Ottocento, contava 45 aziende cioccolatiere ed era all'altezza della «regal Torino».
Altri tempi. Allora «Viganotti» aveva già fatto un bel pezzo di strada e confezionato un bel po' di praline e boeri e arancini e croccantini. Lo conferma Alessandro Boccardo, titolare - dal 1999 - del laboratorio artigiano. Con tanto di documentazione originale: «Ecco qua - spiega, biancovestito in quanto sottratto alla selezione quotidiana delle materie prime -. Abbiamo lettere, testimonianze, fatture. Sappiamo per certo, ad esempio, che nel 1866 aveva bottega Romeo Viganotti, quinto di sei figli di una famiglia di cioccolatieri, padre originario di San Donato, mamma di San Vincenzo...». Da Romeo fu Domenico, dunque, la maestria e gli strumenti passano alle figlie Emma e Letizia, poi al cognato Piero Pastorino, ai suoi figli Jose e Roberto. È quest'ultimo, anch'egli maestro cioccolatiere, che passa la mano, i macchinari e gli stampi d'epoca a Boccardo. Che inaugura una stagione di dolcezze all'insegna della «tradizione nell'innovazione». L'esperienza fatta non si discute, insomma, e quindi andare da Viganotti vuol dire trovare sempre i prodotti che si fanno come centocinquant'anni fa, negli stessi recipienti di rame, nella stessa «melanger» per macinare nocciole e tostare le fave di cacao, con la stessa ricetta originale: cacao di prima scelta, zucchero, aromi ricavati dalla natura.
In compenso, Boccardo ha aggiunto creatività e passione a quantità - queste sì - industriali. «E tanti viaggi - dichiara, con puntiglio - per imparare, approfondire, sperimentare». Sono nate così alcune «linee» nuove: da 12 che erano i tipi di cioccolatini, Alessandro li ha fatti diventare 30. E non è finita... Una ventina sono le specie di cioccolatini aromatizzati alle spezie, in diretta collaborazione con la drogheria storica Torielli di via San Bernardo. Ma lui, Boccardo, non s'accontenta: indaga, sperimenta, assaggia. E confessa: «Provavo prima di dare il benestare, mettevo in bocca. Ingrassavo. Poi la dietologa mi ha fatto fare la dieta del cioccolato, 1600 calorie al giorno, ma senza rinunce frustranti. Sono tornato al mio peso naturale, ma il bello è che posso continuare ad assaggiare quello che voglio, senza problemi». Un bel sacrificio, non c'è che dire! Bisogna capirlo, meschinettö: basta guardarsi intorno. E ascoltarlo quando ti ricorda che «una macchina, in Francia, ha selezionato nel cioccolato 496 tipi di sensazioni gustative. Ma anche una persona che voglia, diciamo così, allenarsi, provare e riprovare, può percepire decine e decine di gusti primari». D'altronde - è sempre Alessandro a specificare - ci sono oltre 300 tipi di cacao, nelle varietà criollo (il più pregiato e aromatico), trinitario e forastero. Una varietà straordinaria, un pianeta ancora da esplorare. E Boccardo ci prova: è figlio d'arte, il papà era maestro pasticciere all'antico Caffè Klainguti di Soziglia, ha fatto pratica nel laboratorio fin da piccolo, si può ben considerare un artigiano del dolce a tutto tondo, e da Viganotti fa uscire anche la torta Zena e altre specialità di pasticceria della tradizione locale. Ma è il cioccolato che, in qualche modo, «comanda». Anche nei gesti che sono gli stessi da sempre: «Non usiamo lo stampo. I cioccolatini, li tagliamo a mano con un coltello che ha gli stessi anni, forse qualcuno di più, della nostra fabbrica». Ma è il metodo di confezionamento che si distingue nettamente dal procedimento industriale, anzi è l'opposto: si parte dal ripieno, poi si fa la ricopertura.
Arriva anche la trasgressione, perbacco! «Io, qualche volta, ci aggiungo anche un po' di sale. Pochissimo, naturalmente. Di vario genere: rosa cristallino dell'Himalaya, grigio bretone, nero di Cipro, blu di Persia, rosso delle Hawaii». Chissà se li ha fatti assaggiare, i cioccolatini «al sale», anche alla regina del Belgio, Paola Ruffo di Calabria, quando è venuta in visita a Genova ed è rimasta letteralmente conquistata dalle gocce di rosolio di Viganotti. Tanto che ha immediatamente invitato Boccardo a corte. «Non ci sono ancora andato, ma un giorno o l'altro chissà...». Intanto Alessandro gira l'occhio verso l'Uovo di Pasqua che sta per partire per l'America, destinazione Nasa, dove c'è un ingegnere genovese trapiantato lì che, ogni anno, vuole rispettare la tradizione. «La prima volta che ho spedito l'uovo è capitato un disastro, s'è frantumato in mille pezzettini durante il viaggio aereo. Gli scienziati americani hanno studiato la faccenda, per concludere che era tutta colpa della pressurizzazione, eccetera. Ecco perché, da allora, ci faccio due buchetti, in cima e in fondo all'uovo. Così arriva sempre intatto!».
Solito perfezionista. Sempre pronto, prontissimo, a mettersi in viaggio, a studiare, a sperimentare. Fra antico e moderno, fra tradizione e innovazione, fra Natura e tecnologia, fra «il solito» che andava bene ieri e «l'insolito» che andrà meglio domani. Per un prodotto «superfluo» che fa più buona la vita, talmente «democratico» da piacere a regine e sudditi, scienziati e intellettuali, industriali e operai. E banchieri, tanti banchieri. Come quelli al vertice del Credito Italiano che si riunivano, fino a pochi anni fa, a Genova, nel palazzo di De Ferrari: «Erano abituati che, a un certo punto dei lavori, da Viganotti arrivava per loro un vassoio di cioccolatini.

Un modo come un altro per perpetuare il ricordo e onorare, in qualche modo, Romeo, il capostipite. Che fu uno dei fondatori dell'istituto».
Sì, altri tempi. Per la banca, intendiamoci, non per «Viganotti». Che mantiene ancora le sue quote di dolcezza.

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