Quei 27092 tagliandini, antidoto all'antipolitica

Un giorno saltò su il nostro bravissimo Federico Casabella e disse: «Visto che i partiti del centrodestra non si mettono d'accordo per tempo su un candidato sindaco alternativo alla sinistra, perchè non lo facciamo scegliere ai nostri lettori con un tagliando?». In pochi minuti, in una riunione di redazione, nacquero i «tagliandini», l'unica vera prova di democrazia nel campo dei moderati genovesi in epoche di Porcellum, di liste bloccate e di nomi imposti dall'alto, dove (spesso, non sempre, ci mancherebbe altro) non si veniva candidati per la capacità, ma per il tasso di fedeltà a questo o a quell'altro capetto. Poi, la fedeltà era spesso più presunta che reale, come si è visto. Ma, insomma, le liste venivano fatte così.
Cominciammo con il sindaco, accompagnati dal sarcasmo di chi - magari appassionato di sondaggi on-line - ironizzava sul fatto che nei primissimi giorni fossero arrivati pochi tagliandi e dalle contestazioni di chi riteneva il metodo non sufficientemente scientifico. Il che è assolutamente vero, ma nessuno ha mai parlato di sondaggi certificati e di metodo Cati. L'unico limite che poniamo è che i tagliandi siano originali e non fotocopiati, in modo da evitare abusi. Poi, se un elettore è talmente appassionato del suo candidato preferito da votarlo dieci volte in un giorno, buon per lui e soprattutto buon per il candidato.
Le polemiche, giustamente, poi sono svanite insieme a chi le faceva.

Ed i tagliandi sono diventati una simpatica consuetudine che ci ha accompagnato nelle votazioni per il sindaco (dove aveva vinto Pierluigi Vinai, poi effettivamente candidato), in quella per il presidente della Provincia (votazione poi saltata per la soppressione dell'ente) e in quella per i presidenti dei Municipi, dove moltissimi di coloro che hanno ricevuto voti poi sono stati i più apprezzati anche nelle urne vere, venendo eletti nei vari parlamentini.
Insomma, è un gioco e non ha niente di scientifico. (...)

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