(...) E quindi, il ricordo del nostro passato è anche il ricordo di quanto di più bello abbiamo nel cuore. Ogni volta che vedo i miei figli e ogni volta che parlo con loro, persino quando mi fanno infuriare, vedo nei loro sguardi qualcosa che un po' alla volta la vita ci strappa. E non c'è prezzo per ritrovare, anche solo per pochi istanti, lo sguardo dei bambini. E nelle vostre lettere, io quello sguardo ce lo ritrovo. Di quando eravate, di quando eravamo bambini.
Non è un caso, infatti, che moltissimi dei racconti che ci state mandando - dal primissimo dell'avvocato Sulfàro sulle «agrette» di piazza Alimonda a quelli di oggi - ricordano i giochi perduti, orrendamente scippati da tutte le diavolerie elettroniche e dalla televisione che spesso ipnotizzano i nostri ragazzi. Perché, anche solo scrivendo di quei giochi, e anche solo leggendo di quei giochi, si riesce a salire su una macchina del tempo, come fosse un ottovolante della memoria.
Eppure, non sono solo i giochi. In questi giorni ho letto i ricordi, bellissimi e dolcissimi, dei vestiti di una volta; della scuola; della propria vita intera passata a fianco dello stesso uomo, drammaticamente scomparso. Tanto che credo che quella lettera, dolcissima, d'amore postumo, sia una delle cose più belle che abbiamo pubblicato negli anni.
Mentre la politica si abbruttisce e ci abbruttisce ogni giorno di più, dal privato nasce la migliore risposta a tutto questo, quella che ci aiuta a riscattarci e ci aiuta a ritrovare la speranza in un altro futuro, per noi, ma soprattutto per i nostri figli e nipoti. Nella Bellezza che riusciamo ad estrarre dai nostri ricordi, c'è l'antidoto, ci sono gli anticorpi contro una realtà quotidiana troppo spesso dominata dai veleni a cui, lentamente, rischiamo di mitridatizzarci, assuefatti a dosi sempre più massicce, senza quasi rendercene conto. Ma anche uscendo dal privato ed entrando nella dimensione pubblica, credo che queste lettere, questi ricordi delle cose perdute, di quello che avevamo e non abbiamo più, siano un ottimo modo per ricordare come era bella la nostra Genova e la nostra Liguria. Ricordare il gusto dei pomodori di Cervo Ligure raccontati da Piero Citati e risposta ai pomodori standardizzati di oggi, è un modo di reagire. Ricordare il profumo dei fiori in Riviera è un viaggio attraverso i sensi per ridare un valore all'olfatto.
Soprattutto, l'ho già scritto qualche giorno fa, ma vale assolutamente la pena di tornarci ulteriormente, ricordare quanto era bella e ben tenuta Genova, non deve essere un modo di lasciarsi andare rimpiangendo i bei tempi andati. Ma, assolutamente, uno sprone per reagire, per cambiare, per non rassegnarci a un mondo dove un palazzo affrescato come quello di piazza delle Vigne viene impunemente occupato senza che a nessuno, o quasi, passi nemmeno per l'anticamera del cervello di dire che non va bene. Ora, capisco che i centri sociali hanno svolto un ruolo decisivo nelle elezioni comunali genovesi, ma non mi pare un buon motivo per tollerare tutto. Riscoprire la bellezza, i ricordi vissuti nei nostri caruggi, lo splendore di corso Italia, Pegli e Nervi quando erano luoghi di villeggiatura in cui si veniva da tutta Italia, viale Brigate Bisagno e tutta la zona fra piazza Dante e la Foce come un gioiello del razionalismo italiano, Albaro come un quartiere-gioiello, via Madre di Dio e Corte Lambruschini prima dello scempio architettonico...
E poi, anche la politica di un tempo: i galantuomini del calibro di un democristiano come Pertusio, sindaco che si muoveva solo con i mezzi pubblici; di liberali come Durand de la Penne o Cassinelli senior, di repubblicani come Cesare Campart, l'ultimo sindaco di una coalizione moderata e riformista che ha avuto la nostra città, persino di missini come Cesco Baghino, che dormivano nelle sale d'attesa delle stazioni in attesa del treno notturno per Roma per non pesare sulle casse statali... E ancora, imprenditori del calibro di Angelo Costa o di Giamba Parodi, manager come Enrico Albareto, ingegneri come la straordinaria generazione che fece grande l'Ansaldo, senza nemmeno andare troppo a ridosso nel tempo, quando i Palazzi dei Rolli erano un'invenzione, una delle tante, che fece grande Genova nel mondo e a Genova nacquero le banche. Quelle vere, che davano finanziamenti, non quelle (non tutte, per carità) di oggi...
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