2 GIOCHI DI ALTRI TEMPI
Quella trottola «zuarda»
che diventava un trofeo
Egregio Dottor Lussana, bellissima l'idea di raccontare il nostro passato, i nostri giochi, i costumi, la nostra vita: è come tornare giovani: noi sul sagrato della chiesa giocavamo con la «zuarda», la lippa la lascio al signor Scidone; la zuarda era una trottola di legno che con l'aiuto della terragninn-a facevamo girare: faceva più giri di Casini, il gioco consisteva nel tirare la terragninn-a e far girare la trottola, l'avversario a sua volta tirava la sua trottola e se riusciva a colpire bene la nostra, questa si spaccava in due come una mela.
Rimaneva il pernetto che a quel punto finiva come trofeo nelle tasche del vincitore con grande gioia del «turnian» (un vecchietto tornitore) che ci rivendeva un'altra trottola. Certo che se Casini facesse la fine della trottola anziché il pernetto uscirebbe un Caltagirone.
Saluti cordialissimi
2 ALL'UNIVERSITÀ
Quando studiavo Ingegneria
tra quadriche ed ellissi
Il professor Togliatti era la personificazione dell'ordine, della compostezza e dell'austerità. Più che settantenne, aveva portamento eretto, sguardo severo, capelli bianchi, barba ben curata ed altrettanto bianca. Un personaggio che rifletteva perfettamente la descrizione del giudice in «As You Like It» di Shakespeare. «With eyes severe and beard of formal cut» (con occhi severi e barba curata a norma). Va peraltro aggiunto che il prof Togliatti non aveva niente a che fare con la politica. Per la primavera il corso prevedeva il trattamento matematico delle quadriche. Le quadriche sono forme geometriche tri-dimensionali tra cui gli ellissoidi, i paraboloidi, gli iperboloidi etc. Una descrizione riduttiva suggerirebbe le uova di un dinosauro affetto da severe disfunzioni genetiche.
Il lunedì prestabilito il prof Togliatti entra nell'aula tenendo in mano un ellissoide di gesso bianco. Lo segue il bidello che spinge un carrello a due piani. Il carrello è pieno di quadriche, sia quelle regolari che quelle eccentriche di nome, di forma e di aspetto.
L'impeccabile portamento del prof Togliatti era un po' fuori carattere con quell'ellissoide tenuto in fronte alla barba. L'immagine aveva una certa carica umoristica, ma la classe era un buco nero di austerità, dove neanche a un sorriso era permesso di scappare.
Al termine della lezione il bidello riportava carrello e quadriche nel laboratorio dove rimanevano sotto chiave per le altre 51 settimane dell'anno. La lezione successiva era di Analisi Algebrica. Il docente, Prof. Stampacchia era l'opposto assoluto del Prof. Togliatti. Napoletano e tale di modi e di accento, possedeva le istintive qualità oratorie del proprio genus, ivi incluso l'efficace uso di arti e muscoli facciali per trasmettere informazione.
Il Prof. Stampacchia sale sul podio, allarga le braccia, estende le mani, piega la testa un po' da un lato e guarda verso l'alto. È gesto che indica filosofica rassegnazione all'ineluttabile marcia del tempo e all'inevitabile ciclicità di certi eventi. «Deve essere Pasqua - dice - perché ho appena visto Togliatti con le uova».
Jimmie Moglia
Portland, Orengon
2 IL LIBRO DI GUCCINI
Noi adolescenti imbranati
con i pantaloni corti
Nell'estate del successo della trilogia «Cinquanta sfumature di...», scritta dalla casalinga Erika Leonard con lo pseudonimo E. L. James che ha creduto di scrivere una storia divertente e rilassante (mentre i critici l'accusano di aªver dato inizio alla moda del «porno-mummy»), mi sono immerso nella lettura del nostalgico libro di Francesco Guccini.
Guccini è uno dei miei cantautori preferiti. «L'avvelenata» contenuta nell'album del 1976, «Via Paolo Fabbri, 43», per molti, della mia generazione, è indimenticabile.
Non sono suo coetaneo: quando iniziavo le Elementari lui già stava per terminare le scuole medie. Eppure a quel tempo le generazioni studentesche vivevano quasi le stesse esperienze. Era l'Italia che usciva dal dopoguerra «Nelle scuole di allora c'erano i banchi. Di legno, monumentali, credo pesantissimi. A due posti avevano il ripiano a scrittoio ribaltabile, laccato (laccato?) di un mortifero nero lucido, tanto per far vedere che la scuola non era lì per divertire o far divertire, ma per promettere, dalla prima alla quinta almeno, dolore e sofferenza, che lì non si scherzava».
Sottolinea Guccini: «Il passaggio dalle elementari alle medie fu un salto di grado e di ambiente sociale. Non più i banchi monumentali in legno, ma agili banchetti di metallo col ripiano di plastica (formica?) verdolina e sediette singole».
Anche l'abbigliamento variava in rapporto all'età, abbigliamenti che oggi i ragazzi rifiuterebbero decisamente.
«Noi, da ragazzi, portavamo i pantaloni corti. I nostri pantaloni erano a mezza coscia, e non c'erano calzettoni al ginocchio a bilanciarne la scarsità della cute coperta, ma solo tragici calzini al malleolo. I nostri pantaloni (sarà stata moda, usanza, mancanza di stoffa nel povero dopoguerra) erano insomma tragicamente corti».
Non vi dico il disagio che provavo allorché, in Quarta ginnasio, in una classe mista, durante il primo trimestre mostravo le mie gambette come un bambino. Per fortuna le cose sarebbero presto cambiate, anche in questo caso seguendo regole segrete dettate da chissà chi: si passava ai pantaloni alla zuava. Abbottonati sotto il ginocchio, si sposavano con un calzettone che copriva il polpaccio e si univa al pantalone all'altezza dell'allacciatura. Tutto questo però in teoria, nella realtà il bottone spesso saltava via e il pantalone pencolava disastrosamente ma non sul calzettone, il quale, complici gli elastici partiti, si accasciava penoso sul malleolo ed era un continuo tirare su quello che, per l'ostinata forza di gravità, tendeva naturalmente a crollare e a posarsi rilassato sulla scarpa.
I pantaloni lunghi ci venivano forniti solo in prima liceo.
Guccini con nostalgia ricorda i pantaloni corti, anzi cortissimi: «Una conseguenza della scomparsa dei pantaloni cortissimi forse c'è stata: esistono ancora le ginocchia ricolme di gloriose croste?».
Beppi Lamonaca
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