Per Genova, quella di questi anni è la partita della vita.
Perchè la nostra è una città che, oltre alla crisi drammatica che stanno vivendo tutto il mondo e tutta Italia, ha anche una crisi tutta sua: quella per cui si sono persi 250mila abitanti in ventanni, nella quale le imprese chiudono una dopo laltra, nella quale per troppi anni siamo stati abituati ad andare in giro con il cappello in mano, inventandoci grandi eventi o chiedendo aiuto a destra e sinistra, anzichè costruirci uno sviluppo vero, fatto di grandi idee e non solo di grandi manifestazioni o anniversari.
Si vota in questo quadro e, in realtà, non si vota per un candidato sindaco o per laltro, ma per la vita o la morte di Genova. Per lo sviluppo o per il degrado. Per il passato o per il futuro.
E tenete conto che tutto questo non lo dice un irriducibile industrialista, nostalgico del modello fordista di sviluppo e della fabbrica come centro del mondo, ma uno che pensa che comunque Genova debba ripartire dalla sua peculiarità che è quella di essere la città più bella del mondo in riva al mare e con la possibilità di attirare a sè visitatori e turisti anche in nome della qualità della vita. Un capannone non attira nessuno, la bellezza sì.
Però.
E, quando Marco Doria ha espresso le sue perplessità sulla Gronda o interesse per la posizione dei comitati del Ponente sulla sospensione delle attività portuali di notte, per non disturbare, (...)
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