Prendendo spunto dalla notizia recentemente apparsa sul «il Giornale» delle prossime celebrazioni per i 500 anni dello Studio della medicina genovese, la cui fondazione viene fatta risalire ad un lascito di Ettore Vernazza, credo che sia interessante approfondire la figura di questo grande genovese, di cui è in corso la causa di Beatificazione per volontà della stessa Arcidiocesi di Genova, con l'appoggio di un comitato sorto proprio allo scopo.
Vernazza, morto nel 1524 nel generoso servizio agli appestati, è stato un creativo della carità, non perché abbia fatto cose strane, ma perché ha saputo comprendere quelli che erano i problemi più urgenti della sua epoca e ha saputo trovare per essi una risposta veloce, adeguata e duratura.
Il periodo in cui visse il Vernazza (tra il XV e il XVI secolo) è uno dei più tormentati per la storia civile e religiosa: il fulcro della sua attività si può far coincidere con il momento della divisione protestante, divisione che trovava pretesto nella oggettiva corruzione ed inadeguatezza di certi ambienti ecclesiastici e curiali. Vernazza non segue la strada della rivolta, ma dell'amore, ricevuto nei sacramenti, vissuto, insegnato, praticato ed organizzato.
Egli riforma innanzitutto la Compagnia del Mandilletto e, su ispirazione di Santa Caterina Fieschi Adorno, crea la prima Compagnia del Divino Amore, gruppo di 36 laici e 4 sacerdoti, impegnati a santificare sé stessi e poi, coerentemente, a tradurre in pratica il precetto della carità.
La prima creazione è l'Ospedale degli Incurabili, il cosiddetto Ospedaletto, destinato ad assistere quei malati che non potevano essere accolti nell'ospedale di Pammatone, perché per essi non c'erano cure appropriate.
Vernazza non solo crea materialmente questa struttura, ma ad essa dà anche delle regole, una organizzazione. Egli svolgeva la professione di notaio; gli atti da lui rogati sono custoditi nell'Archivio di Stato di Genova e sono ora oggetto di un attento studio, grazie alla generosità del Consiglio Nazionale del Notariato.
Il suo slancio caritativo lo portò a diffondere il modello organizzativo genovese anche a Roma e a Napoli: a Roma trasformò l'ospedale di San Giacomo in Augusta in Ospedale degli Incurabili ed anche a Napoli, con la collaborazione di Lorenza Longo, fondò un Ospedale per gli Incurabili, sempre attraverso lo stesso schema di una Compagnia del Divino Amore che si assumesse, attraverso società in cui fosse operante la presenza di uno o più dei «fratelli», la responsabilità della gestione. Pensa ad assistere i poveri e i bisognosi, ma cerca anche di andare alle cause dei problemi e di porvi rimedio. Dato che la malattia degli incurabili (sifilide) era legata alla pratica della prostituzione, Vernazza cerca di affrontare alla radice il problema, occupandosi di quelle ragazze che, senza mezzi, avrebbero potuto facilmente cadere in una vita disordinata.
Nascono così le istituzioni per le ragazze povere, così come quelle per le donne che, costrette dalla povertà ad una vita disordinata, desideravano ritornare a recuperare la loro dignità, le cosiddette «convertite». A Genova si conserva il ricordo dei siti di queste istituzioni: l'Ospedaletto, in quella che è via Ettore Vernazza; l'Istituto di S. Giuseppe per le ragazze povere, dove è attualmente Largo S. Giuseppe, e sempre nella zona di Portoria vi era anche il Monastero delle Convertite.
L'altra grande realizzazione del Vernazza, al termine della sua vita, fu il Lazzaretto per gli appestati alla foce del Bisagno, Lazzaretto la cui costruzione egli ottenne dal Doge, in cambio del suo ritorno a Genova da Napoli.
Alla creatività si aggiungeva la concretezza: tutta la vita del Vernazza è caratterizzata da concretezza, ma si può apprezzare in quel capolavoro che è l'Istrumentum Locorum, ossia il piano finanziario preparato dal Vernazza per sostenere nel tempo, attraverso le rendite dei «luoghi» depositati presso il Banco di S. Giorgio, i suoi progetti di bene.
Incaricando i Protettori dell'Ospedaletto di assumere medici e chirurghi per curare gratuitamente i poveri, il Vernazza raccomanda di «affidare la cura dei malati a medici e chirurghi di buona coscienza, fama e scienza e che i salari stessi non siano riscossi se non di sei mesi in sei mesi e cioè alla fine del sesto mese, affinché gli stessi Protettori abbiano il tempo di accorgersi se quei medici e chirurghi servano bene detti poveri; che se per via diretta o indiretta venissero a sapere che questi hanno estorto denaro a detti poveri, non solo non devono pagare lo stipendio di detti sei mesi che loro spetterebbe, ma sono tenuti a condannarli a pagare il doppio della somma che avranno saputo aver essi riscosso da detti poveri».
Il Vernazza non ha nei confronti dei poveri e dei bisognosi un atteggiamento paternalistico, nel senso che ai poveri vada dato solo l'estremo superfluo o gli scarti: per i poveri egli vuole il meglio, vuole i medici migliori, ma vuole anche, come ha spiegato Alessandro Massobrio nella sua bella biografia edita da Città Nuova, «Ettore Vernazza, L'Apostolo degli incurabili», la cultura, vuole buoni maestri di grammatica e di retorica, vuole dottissimi insegnanti di medicina e di diritto «che non facciano null'altro anch'essi che avere cura dei poveri della città e dei sobborghi». Infine, il Comitato dedicherà una specifica relazione nell'ambito di un Convegno che si terrà nei prossimi mesi.
*Presidente del Comitato
Ettore Vernazza
Postulatore della Causa di Beatificazione
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