Rodolfo Parietti
da Milano
«Siamo un Paese sulla difensiva. Nonostante il clima delle imprese sia più tonico e fiducioso verso il futuro, i consumi interni non sono ripartiti. Questo fenomeno dura ormai da parecchi anni, e nessuno sembra in grado di rimuoverlo». Giuseppe Roma è il direttore generale del Censis. Il suo, dunque, è un punto di osservazione tanto privilegiato quanto autorevole per valutare il comportamento degli italiani e per individuare le cause della diffusa «allergia» allo shopping messa in luce dalla ricerca promossa con la Confcommercio.
Dottor Roma, lItalia è in reale sofferenza economica, oppure è condizionata dallincertezza verso il futuro e preferisce quindi posticipare gli acquisti?
«Il problema non è la carenza di risorse economiche: non siamo un Paese depresso o sottoposto a una ineluttabile deriva di impoverimento. Le situazioni di vero disagio sono ancora molto circoscritte, tanto è vero che dalla nostra indagine emerge che la metà degli italiani continua a professarsi ottimista. Ciò che preoccupa, tuttavia, è quel terzo di italiani spaventati dal futuro».
Colpa forse del mercato del lavoro, delle minori garanzie occupazionali rispetto al passato, del precariato?
«No, perché dal mercato del lavoro continuano ad arrivare segnali positivi, di miglioramento. Precariato? In Italia, abbiamo 22 milioni di lavoratori a tempo indeterminato, mentre sono 2,5 milioni gli occupati con contratto a termine. I nodi sono altri».
Quali?
«I livelli di reddito, per esempio: dal 2000 al 2005 le retribuzioni dei lavoratori dipendenti sono cresciute dell1,7% e quelle degli autonomi del 4,5%. Non è molto».
Soprattutto se la cosiddetta inflazione percepita è ben più elevata rispetto allaumento del costo della vita calcolato dallIstat...
«Non esiste uninflazione percepita. Linflazione è un indicatore macroeconomico. Perché altrimenti le banche presterebbero denaro a un tasso vicino a quello dellinflazione ufficiale? In realtà, i prezzi sono fermi. Ma se i salari restano bassi, è anche perché bassa è la produttività. Si deve lavorare di più e premiare il merito».
La pressione fiscale non può essere una delle cause alla base della stasi dei consumi?
«Più che la pressione fiscale, è la consapevolezza che a fronte delle tasse pagate non corrisponde un quadro di servizi efficienti e di protezione sociale. In Italia lincidenza fiscale è comparabile a quella della Danimarca, dove però non si pagano costi extra per usufruire dei servizi. Senza dimenticare lurgenza di rendere meno farraginosa la macchina pubblica, di rimuovere la pesantezza della burocrazia. Se si vuole che spenda, al cittadino va data sicurezza, chiarezza, non confusione».
Per esempio?
«Per esempio, io non ho capito in quale quadro ci muoviamo riguardo alle pensioni. Ci sono mille rivoli: la contribuzione pensionistica, il trattamento di fine rapporto... Ripeto: occorrono regole chiare».
Allora, la Finanziaria non la convince appieno...
«Limpostazione non è innovativa, e mi preoccupa un certo ritorno al centralismo. Inoltre, cè troppa carne al fuoco, anche se, alla fine, spero che tutto venga ribilanciato».
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